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I CANI DELL’AMICO PIERO

C’era una volta un pittore, se per pittore s’intende anche l’imbianchino, lui era preferito dai conventi di monache e frati sia per rinfrescare muri che per riparare alla meglio i guasti che il tempo provoca su affreschi di Santi e Madonne. Coi risparmi di una vita era riuscito a farsi costruire a piano terra un piccolo magazzino dove teneva i suoi attrezzi di lavoro e sopra questo magazzino tre stanzette con i relativi servizi in attesa di farsi una famiglia. Si era fortemente indebitato e, come a quei tempi era d’uso a tutti i poveri, si era procurato qualche gallina che nitriva cogli avanzi delle mense dei conventi. Una sera, tornando a casa dal lavoro, ha visto sul bordo della strada un cane che guaiva probabilmente investito da una macchina. Si ferma e lo mette sul suo motocarro a tre ruote. Era un bastardino color della volpe che lo guardava con due occhi pieni di riconoscenza, tremava tutto e sembrava gli dicesse: “Salvami la vita, non te ne pentirai!”. Il Piero, che sembrava un duro, provato dalla vita sempre più magra, ha pensato: “Se riesco a farlo guarire mi farà compagnia e lo metterò di guardia alla casa”. E gli ha dato subito un nome: TRENTAPIS per la sua magrezza e come diminutivo: PIS. Ha notato che aveva una gamba fratturata sotto il ginocchio e senza perdere tempo ha procurato tre listelli di legno, una scodella di gesso e un po’ di spago e PIS era sistemato per le feste. Ed ha fatto in fretta a guarire anche perché il cibo era abbondante ed erano gli avanzi delle mense dei conventi. PIS si sentiva fortunato come in cani sei signori e si era affezionato al padrone con una devozione quasi morbosa. Il Piero per lui era tutto: non gl’interessava sapere se era ricco o povero, peccatore o santo, bravo pittore o modesto imbianchino, se votava a destra o a sinistra, se galantuomo oppure no, se fosse o meno fidanzato (era sulla quarantina). E non per ultimo: gli aveva aggiustato la gamba rotta! Che bravo dottore!!! Che bravo padrone!!! Una sera piovosa, finito il lavoro, il Piero torna a casa e non trova PIS. Lo cerca dappertutto: niente! Non credeva possibile, ma pratico com’era della vita ha cercato di minimizzare ed ha pensato che forse ha rincorso qualche volpina per quella legge che regola tutte le cose di questo mondo per garantirsi la prosecuzione della specie. Era tornato nuovamente solo ed un po’ arrabbiato: “Bella riconoscenza! Ma vuoi vedere che hanno ragione quelli che dicono di non far lavori a nessuno se non sei in grado di sopportare l’ingratitudine?” E passa tutta l’estate senza cane di guardia. Una sera sull’imbrunire, mentre il Piero si sta preparando la cena, sente abbaiare e graffiare alla porta: è PIS che gli fa festa come se niente fosse! Ma non era solo: sulla soglia un altro cane, un po’ schivo e titubante, poco più grande di PIS e con una gamba rotta. “Che sorpresa, PIS! Vieni , vieni! Fai entrare anche il tuo amico. Dove si mangia in due si mangia anche in tre ed aggiusteremo anche la sua gamba. E così è stato. Si è definitivamente fermato anche l’amico di PIS a far la guardia alla casa ed al pollaio. Anche a lui ha dato un nome: TRENTA!
Nel frattempo il comune con un manifesto ha fatto obbligo a tutti i proprietari di cani di pagare una tassa e munirli così di una medaglia da mettere loro al collo. Il Piero, ancora afflitto dai debiti per la casa, non ha visto il manifesto ed al vigile giunto per un controllo, si è giustificato dicendo che i due cani non erano suoi e che lui li vedeva ogni tanto e dava loro un pezzo di pane. Ordine di metterli in regola entro otto giorni per evitare la multa e gli accalappiacani. Pensa e ripensa il Piero ha deciso, con grande rammarico, di liberarsene. Ormai al vigile aveva dichiarato che i due cani non erano suoi, come avrebbe potuto metterli in regola con la tassa e la medaglia? Ma tu guarda la combinazione! Aveva preso l’impegno di andare in un paesetto di montagna da un suo amico a dipingergli l’appartamento ed ha pensato di portare con sé i due cani ed abbandonarli lungo la strada. La mattina dopo: sveglia alla prime luci dell’alba e partenza generale con tutto l’occorrente per la pittura ed i due cani. Arrivati ad una strada che attraversa il bosco e non si vedeva anima viva, il Piero si ferma. A TRENTA e PIS non sembrava vero avere a disposizione tante piante e quando sono tornati sulla strada non hanno più trovato né il loro padrone né il motocarro. Gatton, gattoni se l’era svignata. (Per la verità il pittore avrebbe preferito perdere due molari).
Alla sera, finito il lavoro, il nostro Piero incomincia il viaggio di ritorno e alla luce del fanale vede sul bordo della strada, dove si era fermato al mattino, quattro lumini lucenti: erano gli occhi di TRENTA e PIS che brillavano contentissimi! Dodici ore lì ad aspettare. Mai e poi mai avrebbero sospettato che tutta la manovra il loro padrone l’aveva fatta al solo scopo di disperderli. Anche il Piero era contento. Una pazienza ed una fedeltà così grandi meritavano un premio e d’istinto si è fermato e li ha fatti salire sul motocarro. Era mortificato e si vergognava pure. “Costi quel che costi e guai a chi li tocca!”. La storia del Piero e dei suoi due cani ha avuto questo seguito: ha comprato un’auto usata perché il motocarro si era ridotto un rottame per le fatiche. Poi è stato invitato ad un “garden party” da signori industriali di un paese vicino e lui ha mangiato e bevuto proprio tanto. Una specie di rivalsa di tutte le privazioni che ha dovuto sopportare nella sua vita. La sera era inebriante. Primavera inoltrata. Nell’aria profumo di tigli e caprifogli e tutta la compagnia era meravigliosa. Nessuno pensava che era questa l’ultima cena per l’amico Piero. Se è vero quello che dicono gli spagnoli che gli eroi e i toreri muoiono “a le sinco de la tarde” (alle cinque della sera).
Piero non era un eroe e tanto meno un torero perché, quando si è trovato sulla strada del ritorno a casa, erano le cinque del mattino e si è scontrato frontalmente con un pullman. Al processo sono stati assolti quelli del pullman. Il torto è sempre di chi non parla più.
TRENTA e PIS sono stati a digiuno per tre giorni e sempre accovacciati vicino al cancello ad aspettare il ritorno del loro padrone. Poi è arrivata tanta gente che non avevano mai visto. Alcuni avevano una cotta bianca e mentre pioveva a dirotto sono partiti tutti in fila. Ma il Piero dov’era? Si era nascosto un’altra volta? Stanchi d’aspettare e con una fame da lupi sono tornati randagi e presi dagli accalappiacani. La casa dell’amico Piero è stata venduta all’asta dal Tribunale perché tutta la sua modesta azienda venne dichiarata fallita in conseguenza del fatto che i fornitori che dovevano riscuotere crediti si sono fatti tutti vivi e i clienti che dovevano pagare hanno avuto un vuoto di memoria. Al cimitero la sua tomba è in un angolo in piena terra, lontana dalle tombe faraoniche dei ricchi che vogliono far vedere anche di fronte all’eternità la differenza tra la nobiltà e i servi della gleba. L’erba nasconde e ogni volta che piove sbiadiscono sempre di più le parole del ricordo. Vicino solo trifoglio e fiori di campo, nell’aria un odore di tigli e caprifogli e le lucertole si fermano sopra la pietra a prendere il sole. Ma l’amico Piero finalmente riposa. Ha risolto tutti i suoi problemi, anche i più difficili, con un colpo solo. Tremendo! La sua storia è finita così. Purtroppo questa è la verità. E l’amico Piero lo ripeteva spesso che a questo mondo per ogni giorno bello ce ne sono cento brutti, e che sono solo le rose che non cogli, a non avere spine.
Giuseppe Paganessi

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