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UN AMORE COSÍ

Pareva che l’estate non volesse arrivare, quell’anno. Il cielo non smetteva di buttare acqua da oltre un mese e le rose sbocciate da poco, gonfie di pioggia, reclinavano i loro fiori senza profumo sul prato fradicio davanti a casa. Erano giorni in cui il tempo sembrava rallentare, per Stella. Giorni in cui la pioggia stendeva un velo umido sulle pianure della bassa e le bagnava l’anima. Dai suoi strappi, spesso, uscivano le parole più belle, così decise di metterla a nudo. Pensava a un regalo da fare a Giovanna: voleva offrirle qualcosa di diverso, voleva che le sue parole per una volta fossero scritte a mano sulla carta. Pensò così di fissarle su una lettera, una lettera vera, di quelle che si spediscono a un indirizzo, con tanto di francobollo.
Aveva pranzato poco prima in un piccolo ristorante vicino a casa sua ed era stata piacevolmente sorpresa dal sottofondo che accompagnava gli avventori tra un piatto e l’altro. Stranamente, infatti, non c’erano schermi televisivi appesi alle pareti e le volgarità dei programmi di mezzogiorno per una volta tacevano. Al loro posto giravano vecchi pezzi jazz e Stella si soffermò sulle parole che Ella Fitzgerald cantava sulle note di “Summertime”: tempo d’estate. Ne fu colpita e si accorse che, se fuori faceva freddo e pioveva, dentro di lei splendeva il sole. Tornò per un attimo alle estati di molti anni prima, quando pedalava sui prati e camminava a piedi nudi nei fossi intorno alla sua vecchia casa, stando bene attenta a non calpestare le creature del fondo che vivevano vicine alle sorgenti, dove tutto aveva inizio.
Ricordò il profumo dell’erba appena tagliata e si rivide mentre, sdraiata a pancia in su, guardava la luna e immaginava mondi lontani, prima che sua madre la rimbrottasse perché era ora di andare a letto.

Quel pomeriggio si sedette davanti a un foglio bianco, prese una penna e si accorse che non sapeva da dove iniziare. Cominciò quindi dalla fine, con due sole parole scritte in rosso.
Poi piegò con cura il foglio di carta e lo mise in una busta. Aprì l’ombrello e si avviò a piedi verso la piazza del paese, dove c’era una vecchia libreria, entrò e scambiò due chiacchiere con il proprietario, polveroso come i libri che da anni se ne stavano riposti sugli scaffali. L’odore della carta, del legno, dell’inchiostro, i colori delle copertine e l’ordinato disordine che regnava le misero allegria. Gironzolò a lungo tra le corsie osservando il dorso dei libri che nessuno leggeva più. Ne scelse uno che parlava del viaggio di due ragazzi attraverso la Mongolia con un furgone, scritto negli anni sessanta del secolo precedente. Lo sfogliò e trovò al suo interno un papavero essiccato, a fare da segnalibro a un passaggio che qualcuno anni prima aveva considerato importante. Ricordò con piacere il tempo passato, quando anche lei metteva i fiori nei libri e curiosa li guardava seccare poco a poco, mentre l’estate finiva. Decise di comprarli entrambi, il libro e il papavero. Sorrise divertita quando scoprì che il prezzo era ancora esposto in lire, diede qualche spicciolo al proprietario e uscì. Passeggiando tra i vicoli del vecchio paese si rese conto che aveva smesso di piovere. Si avvicinò alla cassetta della posta, tolse la busta dalla tasca interna del cappotto, la aprì, con estrema delicatezza ripose il fiore essiccato tra i lembi della pagina che aveva amorevolmente ripiegato, chiuse la busta e la spedì, quasi fosse un messaggio in bottiglia.
Una rondine la sfiorò nel gioco che solo le rondini sanno fare, scivolando nel vento. Seguendo il suo volo si accorse che, tra le nubi, il sole faceva capolino, finalmente.
Giovanna quasi non credeva ai suoi occhi, quando vide la lettera nella sua cassetta della posta. L’aprì con cura, stando attenta a non rovinare la busta. Il fiore fece capolino. Spiegò emozionata il foglio bianco. Aveva il cuore a mille mentre leggeva quelle due parole scritte in rosso. “Ti amo anch’io, Stella”, mormorò sorridendo alla luce che filtrava dalla finestra…

Massimo Zucca

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