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Strage di Capaci (1^ Parte)

La strage di Capaci fu un attentato messo in atto da Cosa Nostra in Italia, il 23 maggio 1992, sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci nel territorio comunale di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo. Nell’attentato persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Gli unici sopravvissuti furono Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Giuseppe Costanza. L’uccisione di Falcone venne decisa nel corso di alcune riunioni delle “Commissioni” regionale e provinciale di Cosa Nostra, avvenute tra il settembre-dicembre 1991 e presiedute dal boss Salvatore Riina, nelle quali vennero individuati anche altri obiettivi da colpire; nello stesso periodo, avvenne anche un’altra riunione nei pressi di Castelvetrano (a cui parteciparono Salvatore Riina, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Mariano Agate, Salvatore Biondino e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano), in cui vennero organizzati gli attentati contro il giudice Falcone, l’allora ministro Claudio Martelli e il presentatore televisivo Maurizio Costanzo. In seguito alla sentenza della Cassazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso (30 gennaio 1992), la “Commissione provinciale” di Cosa Nostra decise di dare inizio agli attentati: per queste ragioni, nel febbraio 1992 venne inviato a Roma un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani (Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Lorenzo Tinnirello, Cristofaro Cannella, Francesco Geraci), che avrebbero dovuto uccidere Falcone, Martelli o in alternativa Costanzo, facendo uso di kalashnikov, fucili e revolver; qualche tempo dopo però Riina fece tornare il gruppo di fuoco perché voleva che l’attentato a Falcone fosse eseguito in Sicilia adoperando l’esplosivo.
Tra aprile e maggio Salvatore Biondino, Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi (rispettivamente capi dei “mandamenti” di San Lorenzo, della Noce e di Porta Nuova) compirono alcuni appostamenti presso l’autostrada A29, nella zona di Capaci, per individuare un luogo adatto per la realizzazione dell’attentato e per gli appostamenti. Nello stesso periodo avvennero riunioni organizzative nei pressi di Altofonte (a cui parteciparono Giovanni Brusca, Antonino Gioè, Gioacchino La Barbera, Pietro Rampulla, Santino Di Matteo, Leoluca Bagarella), in cui avvenne il travaso in alcuni bidoni di 200 kg di esplosivo da cava procurati da Giuseppe Agrigento (mafioso di San Cipirello), che vennero poi portati nella villetta di Antonino Troia (sottocapo della Famiglia di Capaci), dove avvenne un’altra riunione (a cui parteciparono anche Raffaele Ganci, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo), nel corso della quale avvenne il travaso dell’altra parte di esplosivo (tritolo e T4) procurata da Biondino e da Giuseppe Graviano (capo della Famiglia di Brancaccio).
Negli stessi giorni Brusca, La Barbera, Di Matteo, Ferrante, Troia, Biondino e Rampulla provarono varie volte il funzionamento dei congegni elettrici che erano stati procurati da Rampulla stesso e dovevano servire per l’esplosione; collocarono inoltre come segnale un elettrodomestico nel punto autostradale concordato e tagliarono i rami degli alberi che impedivano la visuale dell’autostrada. La sera dell’8 maggio Brusca, La Barbera, Gioè, Troia e Rampulla provvidero a sistemare con speciali skateboard i tredici bidoni (caricati in tutto con circa 400 kg di miscela esplosiva) in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada, nel tratto dello svincolo di Capaci, mentre nelle vicinanze Bagarella, Biondo, Biondino e Battaglia svolgevano le funzioni di sentinelle. Nella metà di maggio Raffaele Ganci, i figli Domenico e Calogero e il nipote Antonino Galliano si occuparono di controllare i movimenti delle tre Fiat Croma blindate che sostavano sotto casa di Falcone a Palermo per capire quando il giudice sarebbe tornato da Roma.

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Fonte: Wikipedia

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