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Racconto bulgaro: SANGUE DI TALPA

Il mio negozio era solito avere pochi clienti, gli unici però che venivano erano insegnanti che cercavano una serie di animali da esperimento per le loro lezioni di biologia. Vendevo rane, insetti e lucertole. Avevo deciso che presto avrei smesso di farlo perchè non riuscivo a coprire le perdite. Ma mi ero abituata così tanto a quella stanzetta, a quella oscurità, a quell’odore di formalina.

Un giorno, una donna entrò nel negozietto. Era minuta, raggomitolata come un mucchio di neve in primavera. Non mi guardò. Probabilmente non avrebbe comprato nulla ed era entrata solo perché le era venuto un malore per strada. Si sbilanciò, sarebbe caduta se non l’avessi preso la mano.

“Avete delle talpe?”-chiese all’improvviso la sconosciuta.
I suoi occhi brillavano come ragnatela strappata, con un piccolo ragno nel mezzo- la pupilla.
“Talpe?”-mi fermai. Le dissi che non avevo né venduto, ne mai visto talpe. La donna voleva sentire qualcos’altro. Il suo sguardo ardeva nei miei occhi. – “Non ne ho”-dissi.


Lei sospirò, poi improvvisamente si voltò.
“Hey, aspetta”-urlai. “Potrei anche avere delle talpe”. – Si fermò. Mi guardò. “Il sangue della talpa guarisce”-sussurrò la donna. “Devi bere tre gocce”.
La paura mi assalì. La disperazione scavava i suoi occhi.
“Almeno il dolore si calmava per un po’”-bisbigliò lei, dopo di che la sua voce si spense.


“E lei quella malata?”-chiesi.
“Mio figlio”. Le sue mani, assottigliate come rami secchi si ritirassero dal banco. Volevo calmarla, darle qualcosa, almeno un bicchiere d’acqua. Le sue spalle strette si perdevano nel cappotto grigio scuro.
“Vuole dell’acqua?” – chiesi.
Quando prese la tazza e bevve, la pelle intorno ai suoi occhi cominciò a muoversi, formando ragnatele tremolanti di rughe.
“Niente, niente”-incominciai a parlare. Non sapevo come continuare. Lei si girò e andò verso la porta.
“Le darò sangue di talpa”-urlai.


Scappai nella stanza di dietro. Non pensavo a ciò che stavo facendo, non mi importava che stavo per mentirle. Non potevo prendere sangue da una talpa. Non avevo talpe. La donna aspettava. Spinsi la porta, così non poteva vedere quello che facevo.

Mi sono tagliata il polso con un coltellino che tenevo nello scaffale con dentro scatole piene di esche da pesca. Dalla ferita piano cominciò a gocciolare sangue. Non faceva male, ma avevo paura a guardare come gocciolava nella boccetta. Ne raccolsi un po’, come se sul fondo erano caduti 2-3 frutti di biancospino. Sono uscita dalla stanzetta e mi sono diretta di fretta verso di lei.


“Ecco” – ho detto. “Questo sangue è di talpa!”
Lei osservò la mia mano, dalla quale continuava a gocciolare sangue. Non avevo protratto la mano verso la boccetta. Con forza la misi nelle sue mani. – “E di talpa, e di talpa!”– gridai.


Iniziò a toccare la bottiglietta. Dentro il sangue luccicava come un fuoco che stava per spegnersi. Dopo un po’ tolse i soldi dalla sua borsa rovinata. – “No, non li voglio”– dissi io.
La donna non mi guardò neanche. Gettò i soldi sul tavolo e si trascinò verso la porta. Avei voluto accompagnarla o almeno offrirle dell’acqua prima che se ne andasse ma percepivo che non le servivo, non le serviva nessuno.


L’autunno continuava a riempire la città con giorni di nebbia. Presto dovevo chiudere il negozio. Faceva freddo e la gente si affrettava davanti alla vetrina. Con questo freddo non avevo clienti. Una mattina la porta si aprì di botto. Quella donna minuta entrò dentro. Corse verso di me. Volevo nascondermi nei corridoi al fianco ma lei mi raggiunse.

All’improvviso prese la mia mano sinistra e la alzò. Il segno della ferita era scomparso, ma lei trovò il posto. Attaccò le labbra sul mio polso, le sue lacrime bagnavano la pelle della mia mano e il manico del mio grembiule blu.


“Lui cammina”– sussurrò la donna, piangendo, e coprì con le mani il suo sorriso insicuro.
Voleva darmi dei soldi. Aveva portato qualcosa dentro una grande borsa. Sentivo che era tesa, che le sue piccole dita erano rigide ma non tremavano. L’accompagnai, ma lei si fermò a lungo nell’angolo – minuta e sorridente nel freddo. Poi la strada divenne deserta.

Stavo bene nel negozietto. Mi sembrava dolce questo vecchio, stupido odore di formalina. Quello stesso pomeriggio davanti al banco nella camera buia si presentò un uomo. Alto, ricurvo, spaventato.


“Avete sangue di talpa”-chiese.
“Non ne ho, non ho mai venduto talpe qui.”
“Ne avete, ne avete! Mia moglie morirà. Tre gocce solo!”
Mi prese la mano sinistra, alzò con forza il polso, la girò.
“Tre gocce solo! Altrimenti la perderò.”


Il sangue iniziò a scendere dalla ferita molto lentamente. L’uomo teneva la boccetta e le gocce rotolavano come formiche verso il fondo. Poi lasciò i soldi sul tavolo. La mattina seguente davanti alla porta del negozio mi aspettava una lunga fila di gente. Le loro mani stringevano piccoli coltelli e piccole boccette.
“Sangue di talpa, sangue di talpa!”-urlavano, strillavano e si scontravano. Ognuno di loro aveva una sofferenza nella casa e un coltello nella mano.


ZDRAVKA EVTIMOVA
Traduzione ad opera collettiva di studenti della scuola bulgara domenicale “ Pejo Javorov” di Milano.

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