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Racconti sull’India (7^ Parte)

Dobbiamo trovare un mezzo che arrivi a Trivandrum. Scopriamo che autobus non ce ne sono. Il treno ci impiega 40 ore. Io non reggo due giorni ancora in treno. C’e’ l’aereo e decidiamo di concederci un lusso. In fondo con trentamila lire copriamo la tratta. Il volo è per la sera stessa, altrimenti occorre aspettare 7 giorni.  Qui a Bangalore ho vissuto una delle esperienze più incredibili dell’India. Bangalore non è affatto una città turistica e pochi sono i turisti che vi passano. Decidiamo di fare un giro per il mercato, immancabile in ogni città. I mercati indiani sono una festa dei colori, degli odori, dei sapori.
Al mercato di Bangalore credo che di europei non ne vedano mai. Appena entrati fummo accolti da immensi sorrisi; la gente ci accompagnava in ogni dove, ci spiegava ciò che era questa o quella merce, questa o quella spezia, senza mai avere la pretesa di venderti nulla. Lo facevano così, per accoglierti, forse anche per poter raccontare agli altri la cosa strana che era loro capitata in quella giornata. Lì  ho mangiato l’anguria più buona e calda della mia vita. Ne abbiamo comperata una immensa, ce la siamo fatta tagliare e l’abbiamo divisa con chi ci stava a fianco. Il gusto di buttarvi dentro la faccia e sputare i nocciolini in un continuo ridere e sorridere a loro, con loro. Il mercato e anche un’opera artistica. Ogni merce è sistemata in modo da apparire più bella.
Quindi arance sistemate a piramide, e le piramidi raggiungono anche i due metri di altezza.
Stoffe e sete appese come fossero mille bandiere al vento. Frutta adagiata su verdissime foglie immense. Collane di fiori dai mille profumi. Poi le spezie, dai colori accesissimi, rossi, fucsia, blu, verdi, gialli, a decine e decine, sistemate in coni perfettissimi nella forma. Gli odori sono meravigliosi, speciali e unici.
Quel posto l’ho sentito mio, l’ho fatto mio e sarà mio per sempre. Ho lasciato quel mercato, quella gente con le lacrime agli occhi. Il dividere con loro una semplice anguria è stato un gesto che mi ha fatto sentire più vicino a loro. Già, loro sono senza nulla ma se hanno tre mele e sono in sei, se ne danno metà a testa. Hanno il senso della condivisione e non del possesso mentre noi tendiamo ad accumulare, ad avere più di altri e a non dividere. Gli indiani poveri no. Più son poveri e più dividono. Nel tardo pomeriggio siamo all’aeroporto e qui sto per perdere i miei due compagni di viaggio, perchè è bastato che mi allontanassi un attimo e loro, anzichè starsene buoni buoni tra i passeggeri diretti a Trivandrum, si sono appollaiati tra quelli per Bombay. Ero già in aereo, abbastanza disperato, quando li ho visti correre sulla pista con la carta di imbarco tra le mani. Questa sera sarà Kerala.
IL KERALA – KOVALAM BEACH, TRIVANDRUM
Sarà stata la stanchezza, lo stress, la voglia di civiltà, ma la prima notte nel Kerala l’abbiamo passata nel migliore degli hotel. E’ però bastata una sera per farci cambiare idea. Questa non è l’India, questo è ciò che l’uomo indiano costruisce per l’uomo europeo e a noi non va. Qui sembra l’Europa, la gente non ti guarda, non ti sorride. Il giorno dopo cambiamo albergo. Una stanza con un letto matrimoniale più un materasso per terra. Sarà più scomodo ma è più vero. Kovalam regala un panorama da brivido. E’ vicinissima allo Sri Lanka e quindi ne è simile.
Il tempo è segnato solo dal sorgere e dal tramontare del sole. Negli occhi e nel cuore rimangono le sensazioni vissute sin lì, scene di vita intrise di un significato così profondo, disperato e vero           Max – italbiker
– continua 7

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