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Racconti sull’India (6^ Parte)

La prima notte l’abbiamo passata cacciando grilli mentre dalla seconda abbiamo tappato le fessure con ogni cosa avessimo a disposizione. Nulla potemmo, invece, con il serpente che decise di annidarsi nello scarico della fogna. Gia’, perche li’ le fogne sono a cielo aperto. Il tubo che collega la turca al fosso è non più di due metri. Questo serpentone si è infilato nel tubo e non si è più mosso così, alla prima espletazione del bisogno fisiologico, anzichè scender nel tubo e scomparire è ritornato nella camera. La naturale conseguenza è che Patrizia, quando va a fare pipì, porta con se’ la sedia, la posiziona sulla turca e la fa dal trespolo. Il serpente è stato scacciato dal proprietario del luogo, ma nulla toglie che esso possa ritornare sui suoi passi e, addirittura, decidere di venire a dormire con noi.
Il viaggio comunque deve continuare. Siamo a metà strada dalla nostra meta finale. La prossima tappa è Bangalore, città dell’interno. Goa e Bangalore sono separati da 650 chilometri: 20 ore di treno. Il treno è il solito treno indiano, pieno zeppo. Siamo sempre chiusi dentro.
La vecchia locomotiva si arrampica a stento sulle colline, aggira le valli, passa in mezzo alle piantagioni. E’ uno spettacolo unico, mozzafiato. Lungo i binari della ferrovia sorgono le misere case. Il treno passa lento, sputando fumi di vapore. La gente alza gli occhi, ti guarda, sorride ed alza il braccio in un cenno di saluto.
Sul treno viaggiano come al solito una marea di bambini soli, maschi e femmine. Te li ritrovi ad ogni stazione ed ogni volta ti chiedono da mangiare. Viaggiano aggrappati alle sbarre, viaggiano sui tetti, in un continuo peregrinare senza meta. Il vecchio vagone fatiscente, il cesso pieno di scarafaggi neri, giganteschi, ormai mi sembrano una reggia. Il treno vanta pure il servizio ristorante per la cena. Ordiniamo riso e pollo, ma quando ce lo portano, proprio questa volta non riesco a mangiarlo. Il pollo è in una tazza di plastica, cotto in una strana, puzzolente brodaglia. Questa volta non riesco proprio a mangiarlo. Il riso è invece confezionato in una lurida carta di giornale. Alla prima stazione cediamo tutto ai bimbi che, meno schifiltosi di me, divorano tutto molto felicemente. Fortunatamente ad ogni
stazione (e ve ne sono tante), gli indiani si ingegnano come commercianti e ti vendono ogni cosa. Strani dolci al cocco, bibite, frutta. Ad ogni stazione è un megarifornimento perchè non dobbiamo dimenticare chi ci chiede da mangiare lungo il tragitto. La notte indiana è la solita notte, accompagnata dallo sferragliare del treno, dalle musiche che aumentano di intensità man mano che ci si avvicina ad un centro abitato. I nostri piccoli compagni di viaggio che son rimasti aggrappati tutto il giorno al treno, ora non si vedono più. Probabilmente si sono stesi da qualche parte lungo il percorso e sono stati avvolti dalle spire di un sonno ristoratore. Il mio dormiveglia sul treno sembra la proiezione del mio corpo in
un altro mondo. Sono fiero di me perchè ce la sto’
facendo. Sto’ sopportando tutto questo ma non solo. Sto’ capendo. Sto’ capendo perchè chi torna dall’India si sente cambiato. Ogni cosa ha un significato nuovo, diverso. Il semplice atto di cibarsi ha un significato nuovo.
Mangiare per vivere e non per gustare. Il treno si è riempito di gente in ogni dove. C’è chi dorme steso a terra e chi, addirittura, al posto dei bagagli. Poi è il sole del giorno dopo.
Ancora poche ore e saremo a Bangalore.
Anche Bangalore è la classica città indiana, città fatta di niente.
Max – italbiker
– continua 6

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