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Racconti sull’India (3^ Parte)

Il quartiere dei Dhobi è un insieme di baracche con al centro una piscina. Vi si accede attraverso una lunga scalinata che entra direttamente in una pozza di acqua. Qui la gente si ammazza di fatica per le caste privilegiate. Qui si vive all’ombra del quartiere dei ricchi che è là, in cima e ricorda il tuo stato sociale ogni volta che volgi gli occhi al cielo. Sono sconvolto ed anche spaventato. La povertà e l’immondizia sono ben al di là di ogni immaginazione. L’immondizia lungo le stradine strette talvolta mi copre i piedi. La disperazione beh, quella la leggo negli occhi di ogni indiano che guardo e che mi sorride.
La leggo nei bambini, che sono diventati per me il simbolo di questa terra. Sono il futuro senza futuro. Sorrisi rassegnati e stanchi ma sorrisi.
Ad ogni domanda che rivolgo, quel sorriso profondo e vero accompagnato da quel ciondolar di testa che solo gli indiani sanno fare. Io, che non so fare a meno dell’igiene, che scarto i cibi che non mi piacciono, mi sento una merda.
Mi vergogno per quel che ho sempre gettato via, per le giornate italiane passate pensando che non avevo a sufficienza. Questo mi hanno insegnato i Dhobi; a valorizzare tutto ciò che ho. La sera voglio vedere il quartiere a luci rosse. Voglio farmi male perché voglio sapere, conoscere. Il taxista che mi accompagna mi scoraggia dall’attraversarlo a piedi. “It is dangerous”, mi dice. Meglio l’auto. Lo attraverso lentamente e mi sembra di essere in un bosco. Dall’esterno arriva un suono che sembra un cinguettio. Sono i baci di quella moltitudine di infelici prostitute. Sono bambine. Il taxista male interpreta le mie intenzioni e, vantandosene, mi spiega che con 25 rupie (1500 lire) posso averne una. Sento un morso allo stomaco e vorrei urlare ma guardo l’uomo e mi rendo conto che anche la prostituzione minorile è nel DNA di questa gente. Io non posso farli cambiare. Esce da ogni mia logica, è disgustoso ma io sono qui per vedere e non per giudicare. Ripenso al quartiere dei Dhobi e mi domando se davvero è peggio essere prostitute o schiave. Non ho mai saputo rispondere a questa domanda. Il moralismo mi porta a pensare che è meglio essere schiavi ma io, al loro posto, cosa farei? La musica indiana è in ogni dove e mi riporta all’albergo, al mio nido di innocui scarafaggi. Mi sembra quasi bello con la sua moquette una volta rossa, con le incrostazioni nel bagno e con gli animaletti marroni in ogni dove. Pazzesco, sono riuscito a convivere anche con loro. Domani il treno ci allontanerà da Bombay. Immagino che le campagne avranno un suono meno duro. Gli animali, gli orti. Ma è un arrivederci a Bombay, non un addio. Entro un mese sarò di ritorno con gli occhi pieni di una fetta di India da raccontare, da dividere ma soprattutto da utilizzare come insegnamento di vita.
Max – italbiker
– continua 4

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