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Racconti sull’India (2^ Parte)

Avvertivo la colonizzazione e la distruzione di un popolo così ricco di storia, di cultura.
Passammo la giornata in quello che si può considerare il centro di Bombay, entrando in botteghe dove bimbe che avevano al massimo 5 anni parlavano un Italiano perfetto, dove gli intoccabili, che è la non casta più numerosa, dormivano sui marciapiedi, coperti dalle mosche. Ho l’immagine di una ragazza davanti agli occhi: era sdraiata per terra e dormiva. Al suo fianco un bimbo di pochi mesi a cui lei, dormendo, teneva la mano. Pensai che se una Madonna fosse mai esistita, era così che doveva essere: bella e sconfitta. La sera ero ancora seduto dinanzi alla porta dell’India, stremato più dalle emozioni che dal caldo e dalla fatica. Guardavo bambini correr dietro a topi di fogna grossi come gatti a pochi metri da me e non riuscivo neppure ad avere paura. Era bastato un giorno solo per essere inglobato in un ritmo così diverso dal mio abituale. Questa gente non aveva nulla e sorrideva. Sorrideva dagli occhi neri e profondi. Il benvenuto in questa terra me lo diede verso l’una di notte un uomo di un’età impossibile da definire, che portava a tracolla una cassetta contenente della semplice acqua. Si fermò a parlarci, ci chiese da dove venivamo e ci salutò dicendoci: “Questa è l’India e questa è la mia vita. Domani sarà un giorno uguale all’oggi per me e durerà sino alla fine dei miei giorni”.
E’ una figura che porto nel cuore e spesso, nei momenti più impensati, il ricordo di lui mi attraversa la mente come una luce e mi ritrovo a chiedermi cosa ne sarà stato di lui. Buonanotte Bombay. Di nuovo Bombay.
Questa mattina mi sono svegliato all’alba, assieme alla città, col rumore lontano dell’India che entrava dalle persiane socchiuse. Un caffè veloce e poi ad una delle stazioni ferroviarie. Fuori, una gigantesca buca dalla quale uscivano donne che reggevano sulla testa enormi cesti contenenti pietra e terra. Ho chiesto cosa stessero facendo e la risposta, alquanto stupita, mi mise a conoscenza che erano i lavori per una metropolitana sotterranea. Le stazioni sono un formicaio, gente che va e viene con bagagli rudimentali fatti di tele, stracci, cartoni. Code in ogni dove. Chiedere informazioni è un rebus. Poi fogli da compilare, da rendere, da riconsegnare, tutto con una pazienza indiana. Dopo ore riesco a prenotare per Aurangabad. Abbiamo ancora tutta la giornata davanti.
Dopo una tappa all’isola di Elephanta, insisto perchè si vada in una Bombay più vera: il quartiere dei DHOBI. Questo è il quartiere dei lavandai, indiani fuori casta che lavano i panni per i ricchi che vivono sulla collina.
Max – italbiker
– continua 3

“Questa è l’India e questa è la mia vita.
Domani sarà un giorno uguale all’oggi
per me e durerà sino alla fine
dei miei giorni”.

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