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L’eruzione del Vesuvio del 79 d.c. e la fine di Pompei ed Ercolano

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e la fine di Pompei ed Ercolano Il Vesuvio è l’unico vulcano attivo dell’Europa continentale. La sua altezza varia a seconda delle fasi di distruzione e costruzione, ma risulta comunque superiore ai 1.200 metri e sorge all’interno di una caldera di circa quattro chilometri di diametro. La caldera rappresenta ciò che resta della grande eruzione del 79 d.C. (dopo Cristo): una delle più grandi e spettacolari eruzioni del vulcano e una delle prime a essere documentate.
Il resoconto fu realizzato da Plinio il Vecchio in primis e da suo nipote Plinio il Giovane attraverso una serie di lettere indirizzate a Tacito. Plinio il Vecchio descrisse così bene il fenomeno che ancora oggi il termine pliniano viene utilizzato nella vulcanologia.
Questo termine, infatti, è stato associato anche alle eruzioni precedenti a questa: Codola (25.000 anni fa), Sarno-Pomici, basici (17.000 anni fa), Pomici verdoline (15.500 anni fa), Mercato o Pomici di Ottaviano (7.900 anni fa) e Pomici di Avellino (datata tra il 1880 e il 1680 a.C.). Sono invece considerate subpliniane le eruzioni avvenute dopo quella data, potenti almeno la metà di quella avvenuta a Pompei ed Ercolano nel 79 d.C., una catastrofe vulcanica caratterizzata da terremoti, nubi ardenti e tossiche, maremoti e sciami sismici.
UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA
L’eruzione del ‘79 si attivò dopo aver dato dei segni prodromici abbastanza evidenti.
Nei dieci/quindici anni che precedettero la tragedia, la zona circostante fu colpita da diverse scosse di terremoto e sciami sismici.
Un fenomeno naturale del tutto ininfluente per la popolazione di allora, abituata ai tremori e ai sussulti della terra. Tuttavia, nessuno avrebbe pensato a un’eruzione del vulcano. Tant’è vero che le pendici del Vesuvio erano del tutto diverse da come le vediamo oggi. I rilievi erano ricoperti da una vegetazione lussureggiante e le coltivazioni di viti e ulivi si arrampicavano sin quasi sulla cima. Strabone, infatti, così descrive la montagna: “tra Pompei ed Hercolaneum si trova il Vesuvio, tutt’intorno magnificamente coltivato ad eccezione della vetta… in gran parte spianata… del tutto sterile come un campo di cenere, e presenta caverne di pietre, simili a voragini, di colore fuligginoso come se fossero corrose dal fuoco. Quindi si può giustamente concludere che il monte in un primo tempo ha bruciato ed ha avuto un cratere attivo che poi si è spento quando il materiale igneo si è esaurito. Forse è proprio questa la causa della fertilità dei terreni circostanti, come a Catania la cenere decomposta dell’Etna…”.
Il primo vero colpo gli abitanti dell’area lo subirono nel 62 D.C. quando un violento terremoto devastò l’intera area vicina al vulcano. L’episodio è noto perché avvenne proprio mentre l’imperatore Nerone era impegnato a cantare in un teatro di Napoli. La montagna si scosse violentemente e un gran numero di case furono rase al suolo dal terremoto. Il successivo periodo di tranquillità, però, favorì la ricostruzione degli edifici crollati e la vita riprese a scorrere ordinata e tranquilla in terre che, ormai inserite nello strutturato sistema imperiale, si potevano ritenere al riparo da qualsiasi minaccia esterna. Poi tra il 20 e il 24 agosto del 79 una crescente frequenza di scosse telluriche colpì incessantemente l’area campana. A Pompei si prosciugarono le sorgenti d’acqua Qualcuno fuggì, ma la maggior parte degli abitanti non si lasciò influenzare dalle scosse e continuò a prosperare nelle Domus e nelle ville patrizie circostanti. Fu uno sbaglio.
COSA SUCCESSE A POMPEI ED ERCOLANO
Il Vesuvio si risvegliò alle nove del mattino del 24 agosto, tuttavia l’eruzione vera e propria iniziò soltanto verso la una del pomeriggio. All’interno del vulcano si aprì un condotto causato da una serie di esplosioni dovute alla repentina trasformazione in gas dell’acqua venuta a contatto con il magma in risalita. In seguito una colonna di gas, ceneri, pomici e frammenti piroclastici si sollevò per circa 15/20 km al di sopra del vulcano e creò una nube caratteristica che oscurò il sole. Plinio la descrisse da Miseno, a una distanza di 21 km dal vulcano, e poté osservare la colonna eruttiva in tutto il suo sviluppo. La rappresentò accennando alla forma di un pino, con il fumo che si dissolveva sul suo stesso peso. Lo scrittore annotò che la colonna a volte era bianchissima, talora invece era sporca e macchiata, a seconda che avesse sollevato con sé terra o cenere. Dalla colonna pliniana caddero pomici in direzione di Pompei, dove nel giro di poco tempo si accumularono formando uno strato alto circa 4 metri che seppellì interamente la città.
Ora, mentre cadevano le pomici, qualcuno lasciò in fretta e furia la città, altri, del tutto inconsapevoli di ciò che stava accadendo, si nascosero nelle cantine e nei locali più riparati. Morirono inconsapevoli, nella penombra creata dalla nube che aveva oscurato il sole nelle ore successive soffocati dal calore e dai gas tossici quando il primo grosso flusso raggiunse la città.
Su Ercolano, invece, la situazione fu del tutto diversa: sino alle otto del mattino seguente piovve soltanto una sottile cenere e sebbene ci furono frequenti scosse di terremoto la città fu risparmiata per molte ore dal disastro. Ora, gli abitanti del posto avrebbero avuto tutto il tempo di salvarsi se soltanto avessero immaginato cosa sarebbe accaduto nella ore seguenti, invece, nella notte, anziché allontanarsi dalla zona, approfittando di una pausa apparenta dell’attività eruttiva, molte persone fecero ritorno alle loro case che erano state lasciate incustodite.
E questo gli costò molto caro.
Dopo le otto del mattino del 25 agosto, infatti, l’attività vulcanica riprese con la formazione della colonna pulsante, dove si alternavano emissione di cenere, flussi e surge piroclastiche. Sia i flussi piroclastici sia i surge si sviluppano quando il flusso di magma, arrivando al cratere, aumenta fino a diventare troppo abbondante per formare una colonna eruttiva capace di innalzarsi sopra il vulcano. Il collasso di una colonna densa e pesante, che può interessare anche solo le sue zone più esterne, convoglia la miscela di gas e frammenti di magma solidificato e di rocce verso il basso. Si formano in questo modo flussi di materiale vulcanico che scorrono al suolo e scendono veloci lungo i fianchi del vulcano. Il passaggio sopra la città di questo flusso fu disastroso. Spesse mura e intere pareti perpendicolari al suo percorso furono rovesciati di netto, così come furono travolti i tetti e gli ultimi solai che ancora reggevano. Il materiale vulcanico turbinava con una velocità prossima ai 100 km orari, trascinando una gran quantità di pietrisco, intonaco, travi e tegole degli edifici che distruggeva. La sua furia irruppe dall’alto su quanti ancora resistevano al riparo dei rifugi più isolati. E dopo questo flusso, tutta l’area intorno a Vesuvio divenne simile a un deserto grigio. Ma non è finita. Le onde di maremoto provocate dal materiale magmatico finito in mare travolgono i pochi superstiti scesi sulle spiagge in cerca di salvezza. Ma le barche ancorate nel porto sono in fiamme e l’acqua del mare ribolle. È l’ultima fase della catastrofe. I flussi terminano intorno alle 10,30 del 25 agosto e l’acqua delle falde sotterranee si riversò sulle rocce riscaldate dal magma, provocando una successione di violente esplosioni che scuoteranno il vulcano ancora per qualche tempo. Al calar della sera del secondo giorno, l’attività eruttiva iniziò a calare rapidamente fino a cessare del tutto.
L’eruzione era durata poco più di 25 ore, durante le quali il vulcano aveva espulso quasi un miliardo di metri cubi di materiale.
LE CONSEGUENZE
I morti in totale furono oltre duemila e il Vesuvio fu stato sottoposto a un cambiamento radicale.
La sua cima non era più piatta, ma aveva acquisito una forma conica, dalla cima della quale ascendeva un denso vapore. Questo cono, determinato dalla fortissima spinta del materiale eruttato, sfondò letteralmente il precedente cratere per 3/4 circa della sua circonferenza. Ci fu comunque un grande interessamento dei vertici dell’impero. In soccorso alle popolazioni colpite si mossero milizie, navi e funzionari politici.
Dall’impero furono messe a disposizioni ingenti risorse finanziarie per la ricostruzione. I sopravvissuti delle popolazioni colpite, poco alla volta, tornarono sul luogo del disastro, ma ciò che si presentò ai loro occhi fu certamente uno spettacolo impressionante: cenere trasformata in fango dalle piogge, case crollate, templi distrutti e il segno del benessere di una regione sepolto dai materiali vulcanici.
Ora, l’efficienza e l’organizzazione Romana consentirono di ripristinare in gran parte le zone sinistrate. Tuttavia, tutta la regione, fu soggetta a un processo generale di degrado. Ci vollero decenni prima che l’imperatore Adriano riportasse l’area allo splendore di un tempo.

Fonti:
http://vulcan.fis.uniroma3.it/vesuvio/eruzione_79.html
http://cronologia.leonardo.it/storia/anno079.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Vesuvio
http://www.parodos.it/storia/argomenti/eruz.htm

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