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INTERVISTA A Chiara Vincenzi: una grande sognatrice di Laura Gorini

Per me un libro è una coperta, una coccola e una carezza. È un mondo dove rifugiarsi ma, nel contempo, uno specchio in cui potersi riflettere e lasciarsi trasportare da una coinvolgente sensibilità.

Non ha mai smesso di ascoltare e far vivere dentro il cuore il suo fanciullino Chiara Vincenzi, l’illustratrice e da poco tempo anche brava scrittrice per ragazzi. E se oggi è una professionista molto apprezzata lo deve al suo talento ma anche alla sua proverbiale testardaggine! Di questo e di molto altro ancora ci ha parlato in questa lunga chiacchierata a cuore aperto…

Chiara, descriviti ai nostri lettori con pregi, vizi e virtù…

Bene… D’impulso ammetto d’essere una sognatrice. Il che, per me, significa vedere la realtà da un’altra prospettiva, un modo per trasformare la visione delle cose e della vita in chiave più rosea e positiva. È ciò che tendo a fare spesso, insomma: avere una visione ottimista per cercare il bello anche laddove non è possibile riuscire a vedere “con gli occhi”.
Ho anche un lato molto testardo ma, questa testardaggine, porta a sfidarmi ogni giorno e a scontrarmi con me stessa finché non ho raggiunto un obiettivo (o almeno provato) e forse potrebbe valere sia come un pregio sia come un difetto: in effetti, quando mi ostino, per le persone che mi sono accanto si tratta di dover praticare l’arte della pazienza!

Ami molto parlare della tua infanzia, ma quali sono i momenti più belli che porti nel cuore oggi come se fossero accaduti ieri?
Vero, ne parlo spesso, e si tratta di quei momenti trascorsi quando ancora risiedevo a Mantova e poi vi tornavo l’estate, per trascorrere le vacanze, presso la casa dei nonni.
Chissà, forse è stata l’aria aperta della campagna il sentore genuino delle cose e della semplicità che hanno fatto breccia nel mio cuore. Forse si è trattata di una predisposizione fin da subito e sapere assaporare la Natura circostante; forse è stato un incontro tra i due mondi, il mio immaginario e quello reale, in cui si è amalgamata un’empatia a dir poco magica.

Solitamente quando una persona ama ricordare quel periodo di vita è perché ama mantenere molto vivo dentro il cuore il proprio fanciullino… E’ così anche per te?
Direi proprio di sì! Mantenere il proprio fanciullino significa sapersi connettere con la Natura e, lo ammetto, potresti ritrovarmi a parlare con ciò che qualcun altro definirebbe inanimato: che si tratti di un sasso, di un corso d’acqua, del Cielo e così via! Mi sorge spontaneo e naturale, così come ringraziare la vita e ciò che mi circonda. È un sentirsi profondamente innamorati e recepire nel proprio cuore la medesima risposta.

Il fatto poi di illustrare libri per ragazzi e non per adulti, è stato voluto per seguire questo pensiero?
A questa domanda, se posso, rispondo: “ni!”, nel senso che studiando comunque il disegno e le varie tecniche di colorazione (il mio percorso è soprattutto da autodidatta) adoro illustrare e adattarmi a qualunque stile, e questo per continuare a maturare tratto, linea e grafica.
Di fatto, la mia mano tende a creare personaggi e usare colori più inclini a un pubblico molto giovane anziché adulto ma questo, in definitiva, perché c’è un riscontro positivo da parte di chi mi cerca per delle collaborazioni e gradisce questa tipologia di tratto.
Così, a mio avviso, è giusto possedere un’infarinatura generale per poi soffermarsi su uno stile che più ci rispecchia o comunque ci distingue.

Ma poi da illustratrice sei diventata autrice… Com’è nata l’ idea di scrivere un libro e successivamente una trilogia?
Sono del parere che il linguaggio per comunicare è vario: chi lo fa attraverso la musica, chi con le immagini perciò, anche se in modo indiretto forse, attraverso il disegno, ho sempre e comunque raccontato. Anzi, ti dirò: uno dei primissimi testi (un racconto per bambini pubblicato da il Ciliegio Edizioni) nacque proprio da un mio bozzetto tracciato così “per caso” sulla carta. Si trattava di un topolino dall’ombra simile a quella di un gatto. Da lì in poi scattò l’intera storia, dall’inizio alla fine, come se nella mia mente si fosse proiettato un film. Per quanto riguarda la stesura di altri racconti brevi, fino a raggiungere l’idea di un qualcosa di più “corposo” se vogliamo definirlo così, come una trilogia, credo che nel tempo dentro di me sia cresciuta prima la consapevolezza di amare tantissimo la scrittura (cosa questa che non avrei mai ipotizzato!) poi quella di sfidarmi.
Come già accennato, mi piace mettermi in gioco, puntare a degli obiettivi ma un conto è sentire l’ispirazione (e l’aspirazione), un conto è riconoscere se e quando una strada fa al proprio caso. Erano anni che covavo l’idea di voler scrivere una trilogia, lo ammetto, ma finché capivo d’essere acerba e di non avere ancora gli strumenti utili, rimandavo questo tipo di progetto a me del tutto nuovo.
Poiché scrivere significa comunque parlare di noi (attraverso un velo di emozioni), far scaturire un qualcosa dentro la storia muovendo personaggi e vicende, detestavo affrontare l’idea senza quella “spinta” giusta, ottimale, ma che deve esserci e ardere pagina dopo pagina.
Alla fine è stato in un momento particolare della mia vita, rivoluzionario, che quel sentore è sfociato e si è via via dipanato tra le righe del libro “Strega per metà” condito da quell’amore per la Natura di cui parlavo all’inizio, elemento a cui mi sono aggrappata per creare il contesto adatto nonché lenitivo per la protagonista. Tuttavia ci tengo anche a dire e a sottolineare che mi considero ancora acerba, ovviamente, con la consapevolezza di dover crescere e maturare in questo meraviglioso ambiente di… penna!

Si dice che uno scrittore sia in primis un grande lettore… E tu che lettrice sei?
“Naturista” nel senso che mi piace leggere all’aria aperta o, altrimenti, in casa ma orientata sempre verso una finestra con vista cielo.
Potrei anche definirmi una lettrice disordinata, e che corre a leggere a seconda dei momenti più o meno liberi; tuttavia la lettura, o meglio, la compagnia di un libro, non mancherà mai nell’intreccio delle mie attività, così come la presenza di svariati volumi sul mio tavolo da lavoro o nelle stanze di casa. Ma sono anche una lettrice curiosa: non c’è atmosfera più magica, per me, nell’addentrarsi in una libreria e farsi trasportare dalle voci trasparenti dei libri e che poi, fatalmente, ti porteranno a quello predestinato a te in quel momento.
C’è un libro in particolare che ti ha lasciato qualcosa dentro?
Sai, ammetto d’aver sempre letto “di tutto e di più”: mi piace spaziare e ampliare il personale panorama culturale! Ma credo proprio che nel cuore porterò sempre un libro regalatomi da un’amica, una persona speciale con cui ho condiviso un percorso di studio e apprendistato, e con cui ho trascorso ore e ore a chiacchierare e da cui attingevo con ammirazione il suo sapere e la sua voglia continua di leggere libri! “Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach. Chissà, forse quella persona aveva visto in me quella mia voglia di voler uscire dagli schemi, non per mancanza di fiducia verso le regole, ci mancherebbe, ma per la mia innata curiosità e la voglia d’affacciarmi al mondo circostante! E poter raggiungere un giorno quella “libertà d’essere”.

Quali caratteristiche deve possedere secondo te un libro per arrivare dritto al cuore di un lettore?
A mio dire deve, prima di tutto, saper emozionare e ciò succede quando tra le righe di un libro vibra il sentimento dell’autore.
Di certo anche la storia dev’essere accattivante ma, anche se non lo fosse in modo esemplare, la bravura e l’abilità di chi scrive sarà sempre in grado di catturare, i sentimenti sfoceranno e il racconto farà breccia nel cuore di chi legge.
Tuttavia, per me un libro è una coperta, una coccola e una carezza. È un mondo dove rifugiarsi ma, nel contempo, uno specchio in cui potersi riflettere e lasciarsi trasportare da una coinvolgente sensibilità.
E oggi, il cuore di Chiara per che cosa batte forte? Che cosa ti fa stare bene e ti rende particolarmente felice?
A questo punto, mi riallaccio a ciò che accennavo poco fa: ciò che mi rende felice è proprio “la libertà d’essere”. Abbracciare me stessa dopo aver attraversato mari e tempeste, darsi valore con il proprio operato, dare valore alla vita e alle persone, riconoscendone ogni sfaccettatura come gemme preziose, tutte da scoprire e cesellare con cura.

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