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Inatteso

Una sera da solo. Non è che chieda tanto. La famiglia è meravigliosa. Mia moglie e le mie due figlie mi riempiono di gioia e attenzioni. E io ricambio con tutto l’amore del mondo. Però una sera da solo a leggere un libro o a guardare la tivù me la potrò concedere ogni tanto. O no?
Questa più o meno è quella sera. Tutte dormono, prese da non so quale provvidenziale torpore. Tutte a letto presto. Regina e principesse.
Zapping selvaggio per tirare l’inizio del film che volevo vedere da tempo e che i gusti femminini mi impedivano. Fantascienza estrema col gusto dell’orrido. Ah! Spengo le luci. Birra ghiacciata al fianco. Cinema domestico.
Certo non sono più il giovanotto d’una volta. Ho mancato la fine del film e mi sono addormentato come un pirla davanti allo schermo ormai invaso da un nugolo di formiche bianche e nere, che emettono un inquietante brusio.
Qualcosa però mi ha svegliato. Nella strana ora notturna, che poco frequento, so per certo che il silenzio dovrebbe dominare la casa e i suoi dintorni. Invece un rumore c’è stato.
Mi alzo di scatto dal divano. Il chiarore proveniente dallo schermo è sufficiente per orientarsi. Non oso accendere altre luci. Un altro rumore.
Ora sento chiaramente che viene dal pianerottolo. Da oltre la porta. Cazzo, c’è qualcuno fuori. Qualcuno che sta cercando di entrare.
La sensazione più vicina a quella che sto provando ora è quella di una scossa. Dalle gambe al cervello e giù alla punta delle dita. Sono tutto un brivido di paura ed eccitazione.
Piano mi avvicino alla porta d’ingresso, per capire cosa stia succedendo. Le cose della casa quotidiane ed immobili mi guardano insonnolite mentre compio gesti assolutamente inusuali per me, per l’ora. Per me a quell’ora.
I piedi sfiorano il pavimento di legno che non scricchiola per pura fortuna.
Arrivo alla porta. Sento chiaramente la presenza di qualcuno al di là del pannello blindato.
Mi avvicino allo spioncino e poso l’occhio sulla lente mentre ricordi di ogni genere di film horror e thriller mi urlano che è la mossa peggiore che possa fare. Da quel pertugio in quei film è passato di tutto. Proiettili, lame. Paure. Ma non ho altro modo di indagare questa realtà ostile.
Poso l’occhio ma niente al mondo può prepararmi a quello che sto vedendo. Fuori dalla porta di casa mia ad un’improponibile ora notturna, circondato dal porta ombrelli e da una chenzia un po’ moscia c’è il Diavolo.
Non un povero diavolo qualunque. Non un ladro che voglia svaligiarmi casa. Ma il Diavolo. Completo di corna, con il forcone in mano. La faccia rossa è deformata nella visione dello spioncino. Indossa una specie di vestito scuro. Giacca e pantaloni antracite. Dolcevita nero.
Un sudore freddo mi gocciola lungo la schiena quando vedo la sua mano, quella libera dal forcone, che si avvicina con lentezza esasperante alla maniglia della porta. È chiusa a chiave, penso. O forse no? Cazzo. Ma lui è il diavolo. Basterà una serratura per tenerlo fuori?
La mano ha quasi afferrato la maniglia d’ottone, quando si sente una vibrazione. Sommessa e ritmata. Fastidiosa. L’espressione sul volto del Diavolo, che prima era concentrata e tesa si fa stupita, prima. Infastidita, poi. Qualche brontolio a fior di labbra. La mano rimane a mezz’aria tra lui e la maniglia mentre con l’altra cerca goffamente di tenere in piedi il forcone e cercare qualcosa nelle tasche. La vibrazione è continua ed insistente. Il Diavolo si fruga la giacca poi i pantaloni, quindi l’interno della giacca.
Quella mano curiosa estrae un oggetto nero, che vibra e brilla. Se lo porta all’orecchio.
Pronto? dice a bassa voce. Cosa? Ma ero quasi dentro. Va bene, va bene. Ciao.
Il Diavolo dalla faccia rossa e sempre più contrariata si ficca il cellulare in tasca, perdendo per un attimo la presa del forcone che cade a terra facendo un chiasso tremendo, come quando cade il coperchio di una pentola. Ma lui non lo sa, non facendone uso. L’eco del rumore si spegne lentamente. Di lontano un cane abbaia. Se il rumore è durato dieci secondi, Il Diavolo per tutto il tempo è rimasto immobile, teso, come pronto a reagire ad una possibile minaccia.
Quel rumore agghiacciante avrebbe potuto svegliare mezzo quartiere ma nulla sembra muoversi. Forse qualche vicino addormentato si è girato nel sonno. Tutto qui. Il Diavolo raccoglie il forcone bestemmiando e quasi ringhiando. Getta un’ultima occhiata alla mia porta. Poi scuotendo il capo, se ne va.
Io rimango solo. Nel buio e nel silenzio, chiedendomi se tutto questo sia realmente accaduto.
Tornando sul divano, per sbaglio do un calcio alla bottiglia di birra vuota. Nenache tre secondi dopo arriva mia moglie ciabattando. Si può sapere che casino stai facendo? chiede.
Un chiasso indiavolato, rispondo mentre mi chiedo come potrò mai tornare a dormire, sapendo chi passa davanti alla mia porta.
un racconto breve di AGO

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