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IL VIAGGIO DI FRANCESCA (2^Parte) – Romanzo di Anna Gay

Paola aveva trovato un lavoro come domestica a ore, ma i soldi bastavano appena per la spesa, e cucinava sul fornellino elettrico. Malgrado ciò si adattava, e poi Antonio le piaceva.
Ma poi venne il maltempo, e tutto parve divenire grigio e malinconico. Dimenticando le raccomandazioni di Antonio, Paola cercò di inchiodare un quadretto di un bel gattone che faceva le fusa vicino ad un gomitolo rosso.
E’ inutile dire che fece un disastro.
“Stupida!” urlò lui “Guarda cos’hai fatto! Adesso, se in un domani volessi vendere il garage non varrà più niente!”
“Scusami!” esclamò lei contrita “Non lo faccio più, te lo giuro! Forse si può aggiustare” aggiunse.
“Non posso farlo aggiustare perché mia moglie lo verrebbe a sapere. E tutto perché non mi hai dato retta!” e se ne andò tutto arrabbiato.
L’indomani pomeriggio si mise a piovere, e l’acqua entrava dal buco nella parete.
“Ho fatto arrabbiare l’unico che mi può aiutare” pensava lei “ormai non mi resta che andarmene…andrò al nord a cercare lavoro, è l’unica cosa che posso fare” Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e Paola rimase.
Un giorno che stava facendo dei conti di soldi per vedere se era più conveniente un negozio o un altro, l’occhio le cadde sullo scontrino alla voce Tampax. “Li ho comprati pensando che il ciclo stesse per venire…ma quando l’ ho avuto?” Con l’aiuto del calendario e di un’agendina, calcolò che aveva un ritardo di 6 giorni.
“Povera me! Glie lo dico? Per forza! Come faccio se no?” infine si decise ad andare in farmacia a comprare un test di gravidanza. “Finché non lo so di sicuro è inutile pensare al da farsi. Dev’essere successo la prima volta, è l’unica volta che non abbiamo usato il preservativo.”
La farmacista le chiese che ritardo aveva e le spiegò come doveva fare. Paola uscì dal negozio un po’ rassicurata. Forse il ritardo era dovuto allo stress. Una relazione con un uomo sposato non era certo una situazione fatta per ispirare tranquillità. Il test ebbe esito positivo. Paola cercò di tranquillizzarsi, ma dentro di sé piangeva.
“Come glie lo dico, come glie lo dico? Come faccio ad abortire senza che sua moglie lo sappia? E come faccio ad allevare un bambino in un garage? E dove partorisco? Qui?” era più disperata di quando l’avevano sbattuta fuori dall’albergo.
“Ah, mi dispiace” le disse Antonio quando lei, preso il coraggio a due mani, si decise a dirglielo. “Ma dovrai fare tutto da te. Niente medici né infermieri, e quando nasce dovrai firmare per farlo adottare”
“Nooo…..il mio bambino……non voglio!”
Iniziò una discussione lunga e snervante.
“Con te non si può ragionare” disse alla fine Antonio “Perché tu vivi nel tuo mondo di favola e non vuoi arrenderti alla realtà”
E in effetti Paola era disperata e nello stesso tempo contenta.
“Come lo chiameremo?”
“Ancora questa storia del nome!
Ma la vuoi capire che non lo alleverai tu!”
“Ma se dovessi riuscirci? A me piacerebbe Francesco, oppure se è una bambina Francesca” disse lei. Lui sospirò, rassegnato “Anche a me piacerebbe. Mio padre si chiama Francesco.”
“E’ un vero peccato” pensava lei “che non siamo sposati. Scommetto che i suoi familiari sono simpatici e mi sarei trovata bene…ma è chiaro che se sapessero di me, sarebbero tutti dalla parte della moglie”
Il tempo passava, e Paola non faceva che piani su piani, uno più campato in aria dell’altro.
Finché una mattina si accorse che i nove mesi erano volati e sentì le prime doglie. Il primo pensiero fu di mandare a chiamare Antonio, ma poi ricordò le sue parole e capì che sarebbe stato furente. Pensò poi di far chiamare un dottore. Si mise sulla porta, aspettando che passasse qualcuno. Ma pioveva, e la gente se ne stava tappata in casa o sul luogo di lavoro, e così non passò nessuno.
“Coraggio!” si disse alla fine, mentre le doglie aumentavano “Non sarà un dolore da crepare. Ce la posso fare!” Stesa sul letto in posizione ginecologica, cercando di non urlare, aspettava la fine delle sue sofferenze. Per fortuna fu un parto breve. Alla sera la bambina era nata.
“Eccoti, piccolina!” le disse Paola. L’appoggiò sul letto e uscì nel cortile. Vi erano dei panni stesi, tra cui una tutina da bimbo piccolo, che lei rubò. Era appena entrata e stava vestendo la bimba, quando sentì la vicina protestare per il furto subito. Sistemò la piccola su un giaciglio provvisorio, fatto con due sedie da giardino unite con sopra il guanciale del suo letto, poi prese il suo giubbino e lo adoperò come coperta. Si tolse il vestito e lo adoperò per fasciarsi la pancia più stretta che poteva. Verso le undici arrivò Antonio. Lei gli venne incontro, al colmo della gioia. “Sorpresa!” gridò “E’una femminuccia” aggiunse abbassando la voce.
Antonio non sapeva che pesci pigliare. Se pure adulterina, Francesca era sempre sua figlia. Anche a quelli avuti con la moglie voleva bene, si capisce, ma, come Paola, anche lui era addolorato di perderla. Eppure era l’unica soluzione. Ne parlarono, ma tutto quello che ottenne Antonio furono piani scombinati tipo: andare al nord, farsi passare per vedova e lavorare in casa facendo la sarta e accudendo la bambina.
“Ma tu non conosci nessuno al nord, e non sai fare la sarta! Scendi dalle nuvole e cerca di essere pratica!” la sgridò lui.
“Va bene” disse lei freddamente “allora procurami una carrozzina o una culla, che almeno possa dormire comoda, povera pecceridda.”
L’indomani Antonio venne ad aprirle presto con la carrozzina. Lei doveva andare a prendere dei pannolini. Il posto dalla signora l’aveva perso e si occupava solo di Francesca per tutto il giorno. Era stanca perché, malgrado che la bimba fosse buonissima, di notte non riusciva a dormire per la preoccupazione. Mentre si avvicinava con la carrozzina al reparto dei pampers, notò un uomo che continuava a guardarla.
Gli lanciò un’occhiataccia, sperando che questo bastasse a farlo fuggire, ma quello la guardò risolutamente e continuò a seguirla durante tutto il tempo che impiegò a fare la spesa.
Dopo aver pagato alle casse, Paola sistemò i sacchetti nel portaoggetti della carrozzina e uscì. Quando fu arrivata a casa, vide che l’uomo entrava nel cortile. Sistemò la bambina e uscì.
“Che cosa vuole?” chiese. – “Lei vive qui? E da quanto tempo? E di chi è quella bambina?”
“Mia!” disse Paola in tono energico. Poi capì. Era stata un’ingenua per tanto tempo ma poi si era come risvegliata dopo una doccia fredda.
“Scommetto che lei è un investigatore privato, mandato dalla signora Franchi!”
“Esatto!” confermò lui “Dalle signore Franchi, tutte e due, moglie e madre di lui”
Paola gli fece delle domande, cercando di carpirgli delle informazioni sulle intenzioni delle due donne, ma l’uomo si chiuse nel silenzio dovuto alla sua professione, e non ci fu verso di ottenere nulla.
Quella sera Paola chiese ad Antonio:
“Sei sicuro che tua moglie non lo sa?” Come prevedeva, lui rispose: ”Mia moglie non sospetta assolutamente niente”
“E invece sa tutto” disse lei, e raccontò dell’investigatore privato.
“Mannaia!” esclamò lui, e la guardò per l’ultima volta, così bella ma così scioccamente ostinata…sì, era venuto il momento di troncare quella storia che non avrebbe mai dovuto cominciare.
“Senti” le disse “se non ti offendi ti do dei soldi per andare in un’altra città. Però una volta arrivata non te ne manderò più, dovrai arrangiarti da te, e forse capirai che era meglio darla in adozione. Ci sono tante brave famiglie, famiglie ricche che non le farebbero mancare niente…possibile che tu sia così ostinata? Ecco, prendi. Non ho potuto andare in banca perché mia moglie mi controlla, sono pochi, lo so, è tutto quello che avevo nel portafogli.”
“Va bene” disse lei ”Ho ancora un po’ di soldi che mi aveva dato la signora. Forse bastano per arrivare almeno fino a Messina”
“Pensi ancora di arrivare al nord?” chiese Antonio scettico. “Non so come farò, ma ci arriverò”
“Non prendere il treno, prendi il pullman, te lo consiglio” Si abbracciarono, tutti e due erano coscienti che quella era proprio la fine.
Paola lo guardò chiudere il loro nido d’amore, poi salì sul taxi che lui aveva chiamato e pagato.
Alla stazione dei pullman si destreggiò con la carrozzina, e infine riuscì a raggiungere la città dove contava di prendere il traghetto per il continente. Andò alla biglietteria.
“Un biglietto per Reggio Calabria” disse all’impiegato “e per favore, mi può dire se la carrozzina della pecceridda paga?”
3 – continua

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