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Il rito

Quella sera ero certo che le cateratte del cielo si fossero aperte, per impedirmi un tranquillo rientro a casa. Dopo una trasferta di lavoro lunga e tediosa stavo rincasando a bordo della mia vecchia Polo, peggio che malandata. Non era mai andata troppo d’accordo con l’acqua e quella sera sembrava soffrire più del solito per l’inaspettata nuotata nelle strade, ormai tramutate in veri e propri torrenti.
La fretta mi spingeva a non tenere in considerazione le più elementari norme di sicurezza e più di una volta avevo rischiato di uscire di strada prendendo una curva in velocità. Abitavo in campagna. Le strade che l’attraversavano erano strette,  fiancheggiate da canali e macchie di arbusti. Toccavano qua e là cascine dall’aria abbandonata o mucchi di travi che un tempo furono abitazioni di contadini. Nei pressi di una di queste, mentre i lampi illuminavano quasi a giorno un paesaggio fradicio di pioggia, qualcosa attraversò la strada proprio davanti a me. Come dicevo la mia velocità non era delle più caute e un solo tocco sui freni mi fece perdere il controllo. Colpii in pieno l’animale e poi andai a sbattere violentemente contro il muro esterno della cascina. L’airbag si aprì con violenza, schiaffeggiandomi il viso e mandando in frantumi gli occhiali. I miei nervi scossi cedettero. Persi i sensi.
Al risveglio ci misi un po’ a capire dove mi trovassi. Ero sdraiato su un materasso pieno di gobbe e bitorzoli, dentro ad un letto dall’aria antica quanto trasandata. Una piccola candela illuminava fiocamente una stanza dall’aria squallida dove la logora tappezzeria emanava un penetrante odore di muffa. Anche dalle vecchie coperte tarmate proveniva un poco rassicurante lezzo stantio. La stanza era illuminata anche da una lampada posata su una vecchia credenza. Una lampada a petrolio. Di quelle usate un secolo fa! Provai ad alzarmi dal letto ma un capogiro ed una nausea fortissimi mi colpirono. Mi rigettai disteso perdendo i sensi. Dopo non so quanto tempo fui svegliato da alcuni rumori. Aprì gli occhi. Sembrava ancora notte. Accanto a me una figura di donna ingobbita stava appoggiando sul comodino tarlato un piatto contenente una brodaglia unta e grigiastra dall’odore orribile.
Ci siamo svegliati, eh? – mi disse quel ammasso di rughe dall’età indefinibile.
La pelle del suo volto somigliava alla corteccia di un antico albero. Non riuscii a risponderle ma lei prese il mio brontolio come un cenno di assenso. Ora devi mangiare piccolo mio.
Devi rimetterti in forze. La vecchia mi cacciò un cucchiaio di intruglio in bocca. Quasi vomitai ma lei mi costrinse con forza insospettabile a finire tutto il piatto. Svenni di nuovo.
La vecchia tornò diverse volte da me per nutrirmi con quell’odioso intingolo, cacciandomelo in bocca senza alcun ritegno e mormorando paroline incomprensibili che sembravano uno strano dialetto.
Passò del tempo ma non saprei dire quanto. D’un tratto entrarono insieme alla vecchia altri due uomini dall’aspetto trasandato, che senza dire una parola mi fecero alzare dal letto e mi aiutarono ad indossare i miei vestiti. Qualcuno li aveva puliti. Sentivo l’odore del sapone di Marsiglia usato dalla mia nonna. La stoffa era rimasta rigida e ruvida.
Gli uomini mi scortarono fuori dalla stanza e, attraverso un corridoio, giù lungo scale di legno marcio, i cui gradini scricchiolavano sinistramente ad ogni passo.
Con mia sorpresa non ci fermammo al piano terreno. Uno dei due prese una lampada da un sostegno nel muro mentre l’altro apriva una porta. L’aria umida e nera che usciva da quell’ambiente mi fece rabbrividire ma la debolezza che mi pervadeva ancora non mi permise di fuggire o reagire in altro modo.
L’uomo con la lanterna mi fece strada lungo scalini intagliati direttamente nella viva pietra. La temperatura era bassa ed uno strano odore come di foglie autunnali marce mi pervadeva le narici.
Scendemmo per diversi minuti lungo quella scala irregolare fin quando davanti a me scorsi un fioco bagliore dorato. Pensai che quella fosse l’uscita. Mi sbagliavo. La scala terminava in un grande ambiente le cui dimensioni reali non riesco a ricordare. Una folla di uomini e donne cenciosi e puzzolenti si era radunata lì. Quando varcammo la soglia in molti si girarono nella nostra direzione e cedettero il passo. Io e la mia scorta percorremmo l’ambiente fino ad una zona absidale dove le pareti erano state decorate da figure informi e bizzarre, partorite da un folle incubo.
Lì un uomo dall’aspetto inquietante e parato come un blasfemo sacerdote infernale mi fece un gesto con la mano. Senza sapere perché, mi distesi su una grossa pietra. Il granito inciso di lettere aliene era macchiato in più punti, come se liquidi strani avessero imbevuto i pori della pietra.
Il sacerdote si rivolse al suo pubblico. Non riconobbi la lingua ma solo alcune parole mi risvegliavano ricordi dei dialetti locali imbarbariti e corrotti.
Quando si girò di nuovo verso di me, il vecchio teneva in mano un coltello dalla lama brunita e ricurva. Lo passò sulla mia camicia, tagliando il tessuto. Tagliando i bottoni. Tagliando la pelle, che prese a sanguinare. I suoi gesti erano chiari. La ferocia della sua lingua abominevole era per me sufficientemente comprensibile.
Stava compiendo un rito. Stava compiendo un sacrificio. Io ero la vittima.
Non so dove trovai la forza. Forse la disperazione. Forse il terrore. Alzai di scatto la mano e condussi la lama che era destinata a me nelle carni tenere del vecchio sacerdote.
Sentii il metallo contro le costole che si spezzavano. Sentii un fiotto di sangue caldo e viscoso sulle dita. I suoi occhi mi guardarono con un misto di sorpresa e odio, che non potrà dimenticare.
I fedeli non realizzarono subito ciò che era successo. Sbigottiti mi fecero passare tra la folla che si spalancava come le acque bibliche.
D’improvviso un urlo gettò nel panico quell’assemblea catatonica. Alcuni si avvicinarono a me con violenza e cercarono di agguantarmi. Io imboccai le scale e corsi su per i gradini di pietra ignorando il dolore delle gambe. Ignorando le fiamme nei polmoni.
Corsi per minuti interi. Salii, sentendo dietro di me il vociare indemoniato di chi cercava vendetta per l’accaduto.
La porta in cima alle scale era rimasta aperta. Passai. Tentai di sbarrarla mettendo davanti ogni oggetto che potei recuperare. Anche una lampada, che si ruppe. L’olio cominciò a bruciare, appiccandosi velocemente al legno decrepito.
Uscii nella notte. Sempre correndo affrontai la pioggia e l’oscurità.
Ero quasi arrivato alla strada ma inciampai e cadendo battei la testa. Svenni.
Al mio risveglio mi trovai sulla mia auto. Il parabrezza rotto lasciava colare all’interno la pioggia gelida. Il muso dell’auto era accartocciato davanti a me contro un muro di vecchi mattoni.
Uscii dall’abitacolo cercando di rimettere insieme i pensieri. Quando mi voltai vidi una vecchia cascina abbandonata, ridotta ad un cumulo di macerie carbonizzate. Fredde. Sentii un forte bruciore al petto. Attraverso la camicia squarciata vidi un lungo taglio sanguinante.
Improvvisamente un lampo illuminò tutta la pianura. Accanto alla strada vidi qualcosa. Era l’animale che avevo investito. Mi avvicinai barcollando per osservarlo meglio. Un vecchio nudo era disteso a terra. Gli occhi ciechi rivolgevano alle stelle una maledizione muta. Nel suo ventre era piantato un coltello dalla lama brunita.
AGO

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