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Il mostro di Firenze – 4^ parte

7 settembre (sabato) o 8 settembre 1985 (domenica): L’omicidio di Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, Scopeti
Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot
L’ultimo duplice delitto (quello su cui si hanno più particolari e riscontri) avviene nella campagna di San Casciano Val di Pesa, in frazione Scopeti, all’interno di una piazzola attorniata da cipressi, attigua ad un cimitero, in cui erano solite appartarsi le giovani coppie. Le vittime sono due giovani francesi, Jean-Michel Kraveichvili, musicista venticinquenne di origini georgiane, e la trentaseienne Nadine Mauriot (la vittima più anziana del mostro), titolare di un negozio di calzature, madre di due bambine piccole recentemente separata dal marito, entrambi provenienti da Audincourt, una cittadina dell’est della Francia. Le vittime sono accampate in una piccola tenda ad igloo a poca distanza dalla strada. L’omicidio è stato fatto risalire da taluni alla notte di domenica 8 settembre 1985, da altri a quella tra sabato 7 settembre e domenica 8 settembre 1985, considerazione motivata con la presenza sui cadaveri delle vittime di larve di mosca che necessitano di almeno 25 ore di tempo per svilupparsi e dalle condizioni tanatologiche dei corpi riesaminate da esperti molti anni dopo, come è scientificamente riportato da una perizia del Professor Introna e, più recentemente, da un reportage televisivo di Paolo Cochi. Altro elemento fu il fatto che Nadine Mauriot aveva avvertito i parenti in Francia che sarebbe rientrata dalla vacanza al più tardi domenica sera per riuscire ad accompagnare al primo giorno di scuola le figlie il lunedì successivo e riaprire nel contempo il negozio di sua proprietà. Una coppia che si era appartata nella piazzola del delitto nelle prime ore del pomeriggio di domenica 8 settembre 1985 riferì di aver notato la tenda delle vittime all’interno della quale sembrava esservi una persona distesa; riferirono anche di un nugolo di mosche e di cattivo odore nella zona, tanto che proprio per tali motivi i due ragazzi decisero di andarsene da quel luogo.
Le modalità dell’aggressione sono simili a quelle precedentemente messe in pratica dall’omicida, eccettuato il fatto che in questo caso, le vittime non si trovavano in auto ma in una tenda piantata vicino alla propria Volkswagen Golf: il “mostro”, dopo aver reciso con un coltello il telo esterno della tenda sulla parte posteriore, si sposta verso l’ingresso della tenda e spara. Nadine muore all’istante, il giovane Jean-Michel, ferito non mortalmente, riesce ad uscire dalla tenda e a fuggire di corsa in direzione del bosco, ma viene raggiunto dall’omicida che lo finisce a coltellate e poi ne occulta il corpo, cercando di nasconderlo tra alcuni rifiuti poco distante dalla tenda.
Dopo averlo estratto dalla tenda per effettuare le mutilazioni sul pube e sul seno sinistro, anche il cadavere della donna viene in qualche modo occultato e risistemato all’interno della tenda in modo che non sia subito visibile. Il modus operandi particolare attuato dall’omicida in quest’ultimo delitto lascia presupporre che l’assassino avesse l’intento di ritardare il più possibile la scoperta dei corpi. Un brandello del seno della ragazza viene spedito alla Procura della Repubblica di Firenze in una busta anonima con l’indirizzo composto da lettere di giornali ritagliate, indirizzato alla dottoressa Silvia Della Monica, PM incaricato delle indagini sul killer. La scoperta dei corpi avverrà lunedì nel tardo pomeriggio ad opera di un cercatore di funghi, appena due ore prima che la lettera giunga in Procura, vanificando così il possibile perfido piano dell’omicida, che probabilmente voleva annunciare agli inquirenti l’avvenuto ultimo duplice delitto attraverso la sua stessa macabra missiva.
Poche settimane dopo il delitto, il 2 ottobre, giunsero in Procura tre buste anonime indirizzate ai tre sostituti procuratori Pier Luigi Vigna, Paolo Canessa e Francesco Fleury. Le tre buste contenevano la fotocopia di un articolo ritagliato da La Nazione, una cartuccia marca Winchester calibro 22 serie “H”, e un foglietto di carta bianco piegato in due con scritto: Uno a testa vi basta. Gli esami biologici evidenziarono che sui lembi delle tre buste c’erano tracce di saliva che diedero esito positivo di appartenenza a soggetto con gruppo sanguigno A. Non esiste però alcuna certezza che questo messaggio del 2 ottobre sia stato inviato dal “mostro”, poiché esso non conteneva alcuna “firma”, cioè un qualcosa (come, per esempio, poteva essere un bossolo col segno di percussione della calibro 22 oppure una parte del corpo di una vittima), che sanciva la mano dell’assassino invece di quella di un “burlone” o mitomane. Il brandello di seno spedito a Silvia Della Monica rimane, infatti, l’unico “messaggio” inequivocabilmente inviato dal killer agli inquirenti.
I “compagni di merende”
Pietro Pacciani (1925-1998)
Dopo l’omicidio degli Scopeti (l’ultimo della serie) le indagini proseguono intensamente ma, fino al 1991, non ci sono sviluppi significativi. La SAM (Squadra Anti-Mostro), il pool di forze dell’ordine che indagava solo ed esclusivamente sugli omicidi seriali delle colline fiorentine dal 1984, era capeggiata da Ruggero Perugini. Pietro Pacciani diventò il sospettato numero uno della SAM nel 1991, mentre questi si trovava in carcere per la condanna di stupro nei confronti delle sue due figlie; anche una lettera anonima risalente al 1985 invitava gli inquirenti ad indagare su di lui.
Il pool di Perugini, oltre alla lettera anonima, aveva il nome di Pacciani schedato nel computer fra le molte persone aventi le caratteristiche per essere l’assassino seriale.
Nato ad Ampinana il 7 gennaio 1925, ex partigiano soprannominato il Vampa per via del suo carattere irascibile e per i suoi trascorsi giovanili come mangiafuoco per le fiere paesane (che una volta gli costarono persino un’ustione al viso), Pacciani era un uomo collerico, depravato e brutale indipendentemente dalle accuse riguardanti i delitti del Mostro di Firenze. Nel 1951, a 26 anni, Pacciani sorprese l’allora fidanzata, Miranda Bugli (appena quindicenne), in atteggiamenti intimi con un altro uomo, tale Severino Bonini di 41 anni; preso dalla gelosia, uccise a coltellate il rivale costringendo poi la ragazza ad avere un rapporto sessuale proprio accanto al cadavere. Arrestato e processato, dichiarerà d’essere stato accecato dal furore avendo visto la fidanzata denudarsi il seno sinistro (lo stesso che negli ultimi due delitti venne asportato alle vittime femminili del pluriomicida). Per questo omicidio Pietro Pacciani viene condannato a 13 anni di carcere che sconta interamente. La storia fece scalpore in Toscana, tanto da essere raccontata dai cantastorie. L’analogia di questo delitto con quelli del “mostro” sarà l’intuizione e l’indizio principe che porterà gli inquirenti ad indagare seriamente su Pacciani. Gli inquirenti si convincono, accumulando suggestioni/indizi, che Pacciani sia il serial killer delle coppiette fiorentine con questa tesi: Pacciani ucciderebbe le coppie per rivivere, da “vincitore”, il delitto del 1951, accanendosi quindi particolarmente sulla donna che simboleggia l’ex-fidanzata che l’ha tradito. Gli indizi che accumularono gli inquirenti erano vari: Pacciani scriveva la parola Repubblica con una sola B (come scritto nella busta col lembo di seno inviata dal killer nel 1985), possedeva giornali e riviste che parlavano dei delitti del Mostro di Firenze e foto con pubi segnati a matita ed aveva scritto su un foglio un numero di targa di un’auto appartenente ad una coppia che si appartava nella zona degli Scopeti, luogo del delitto del settembre 1985.Una parte della “componente indiziaria” era anche di tipo territoriale-logistico. Pacciani aveva legami (alcuni espliciti, altri più forzati) con tutti i luoghi dove avvennero gli otto duplici omicidi dell’assassino seriale. Il contadino aveva vissuto e lavorato nelle due aree geografiche dove il “mostro” aveva colpito più spesso: il Mugello e la Val di Pesa. Ma aveva un ipotetico legame anche con Signa (poiché nel 1968 vi risiedeva l’ex-fidanzata Miranda Bugli, che in seguito visse anche a Scandicci), e Calenzano (poiché là viveva l’amico compagno di merende Giovanni Faggi). Tuttavia, ciò che poteva avere teoricamente valenza probatoria, erano soltanto tre oggetti detenuti da Pacciani: una cartuccia trovata in giardino (se realmente fosse stata inserita nell’arma del killer), un blocco da disegno e un portasapone (se realmente fossero appartenuti alle vittime del Mostro di Firenze del 1983).
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