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IL GIOVANE CHE NON VOLEVA VOLARE di Laura Gorini

Se ne stava sdraiato mollemente su quel lenzuolo spiegazzato. Era bianco, di un bianco indecifrabile, come indecifrabile era la sua vita. Per lo meno questo era ciò che pensava da tempo. Teneva le imposte chiuse e se tramite esse filtrava un raggio di sole o una fioca luce, strizzava a più non posso gli occhi al fine di crogiolarsi nel buio.
Odiava il calore. Non poteva fare a meno di accarezzare quei piccoli brividi che gli invadevano la pelle in profondità. Era magro, forse addirittura scarno, e il suo volto aveva un’espressione corrucciata. Si alzava di rado, solo per lavarsi di tanto in tanto ed andare in bagno. Leggere non gli interessava più, le partitelle di calcio con gli amici lo annoiavano da tempo e con la sua famiglia aveva chiuso.
La scuola poi lo stressava terribilmente e di trovarsi un lavoro non se ne parlava.
<<Tu non puoi stare a casa a fare nulla!>>, tuonava suo padre da dietro la porta.
Ma lui non lo ascoltava più. Faceva finta di non sentirlo, perché lui non esisteva più.
Sua madre non parlava, aveva gettato la spugna. Del resto era sempre stato succube di quell’uomo che le era stato imposto dalla famiglia. Non uno slancio d’amore o di passione. Una madonnina infilzata, ecco ciò che era!
Suo padre era un gran lavoratore, questo lo ammetteva, ma non era mai stato un vero compagno e un papà. Sapeva solo comandare e imporre le proprie idee. Ma ci fu un giorno che non lo sentì più davvero parlare: no, non stava fingendo di non ascoltarlo, lui aveva smesso di parlare!
Il giovane iniziò a tremare e a chiedersi il motivo di tale comportamento. Era una mancanza e lui ora la avvertiva. Era dunque ancora vivo?
Si alzò di scatto dal letto, aprì le imposte e fece entrare un po’ di luce. E poi spalancò la finestra: l’aria frizzante del mattino gli rinfrescò il volto. Sorrise e respirò a pieni polmoni quell’alito di vento. Osservò il paesaggio che non gli era mai sembrato tanto bello prima di allora; le case, piccole e grandi, che circondavano la sua cascina, gli alberi maestosi e i campi infiniti. E poi notò Bach, il suo cane Bach, accasciato a terra, che aveva iniziato ad abbaiare nervoso e addolorato. Abbassò lo sguardo e vide suo padre steso a terra. Aprì la porta, corse per le scale e in battibaleno fu in giardino: prese tra le braccia il padre e gli ascoltò il battito del cuore che si faceva sempre più fioco.
Bach iniziò a leccargli le mani. Suo padre si riprese e, da quel giorno, quel giovane decise di alzarsi la mattina presto per aiutare nei campi e ricominciare ad andare a scuola.
Sua madre cuciva accanto al camino e sorrideva guardando fuori dalla finestra. Poi d’improvviso sentì un flebile cinguettio: un piccolo passero se ne stava appollaiato sul ramo, ma non ne voleva sapere di volare.
Il giovane si arrampicò sull’albero e si avvicinò all’uccellino, gli sorrise dolcemente e gli parlò: e fu così che il passero alzò le sue piccole ali e si librò in volo.
Credito Foto: Damiano Conchieri

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