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ICELAND: il nuovo romanzo di Samuele Alinovi

Nord-ovest dell’Islanda.
Nella tranquilla località di Arnarstapi si è appena consumato un inquietante delitto; la soluzione del caso viene affidata a un detective inglese ingaggiato dalla polizia locale. Parallelamente alle indagini, prendono corpo le vicende personali di due amici: il primo è un italiano, trasferitosi sull’isola alla ricerca di un riscatto, mentre il secondo è un giovane islandese che scopre che l’omicidio potrebbe avere un legame col suo passato.
Ma la protagonista della storia è Iceland, la terra di ghiaccio, con la sua immobilità silenziosa e le sue forze oscure che, nel corso del romanzo, finiscono per prevalere sulla volontà delle persone.

Recensione di Alessandro Cona
Avete presente quando vi svegliate di soprassalto e, a causa di un incubo che vi ha sorpreso nella prima parte del sonno, finite per ritrovarvi svegli praticamente tutta la notte e nemmeno una mazzata sul capo sarebbe sufficiente per riportarvi in stato onirico? Iceland (Nulla die, 2020) di Samuele Alinovi potrebbe farvi lo stesso effetto di una vasca d’acqua gelata che vi riporta alla realtà, mentre eravate occupati a fare tutt’altro. Per raggiungere quest’intento, cerca complicità nell’ambientazione ghiacciata di un freddo paese nordico nel quale il sole, da fonte di vita, può trasformarsi in un incubo, per via della sua incapacità di sparire all’orizzonte. Il nuovo libro di Alinovi non è di quelli che vi accompagnano gentilmente verso la sospensione dell’incredulità, ma piuttosto vi ci spintonano, vi ci catapultano con la potenza delle scosse telluriche provocate da un vulcano, elemento chiave che fa da sfondo alle vicende dei protagonisti. All’interno della trama di quello che dalle prime battute può somigliare a un giallo poliziesco anni ’80, con l’enigma apparentemente inspiegabile di un cadavere ritrovato con strani simboli addosso, la natura recupera il suo ruolo di dominio sull’essere umano, combatte contro di lui una battaglia dall’esito tutt’altro che scontato. Via via che le pagine si sfogliano e che si entra nel vivo, scoprirete gli elementi cardine della vicenda, come il fumo ricorrente del sigaro di Gynt, il detective chiamato per risolvere il mistero, necessario a scaldare il lettore contro il freddo delle ambientazioni nordiche. La narrazione di Alinovi è serrata, con pochi momenti di tregua descrittiva, lasciando così un ampio ventaglio interpretativo al lettore più abituato a far lavorare la propria immaginazione. Coerentemente, anche le battute finali della storia lasciano spazio all’interpretazione, facendo diventare i lettori stessi i risolutori di un caso che, riga dopo riga, pare sempre più un confronto tra razionale e irrazionale, incrementando intelligentemente i dubbi invece di dipanare una matassa come da tradizione giallista. In questo modo, chiudendo la quarta di copertina dopo aver letto la parola “fine”, il lettore si ritroverà facilmente con un retrogusto agrodolce, perché nulla sarà davvero risolto e, cosa più saggia, la cosa apparirà
irrilevante di fronte all’acume di chi ha concepito tale vicenda.

 

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