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FINE DI UN’ESTATE

Erano arrivati alla Locanda del Passo, che a orecchio sembrava un luogo situato in montagna o almeno in collina, e invece sprofondava nelle molli rive del Pò, giusto dove questo sfociava nel mare. Un’ora prima Matt aveva abbottonato il giubbotto e si era scrollato di dosso qualche migliaio di moscerini, ora sul tovagliolo del ristorante, mentre si grattava la barba, cadevano i pezzi di ciò che restava. Alla frase: “Greg, non puoi capire”, questi sbottò: “Il fatto è che non sono padre. Non ho voluto esserlo, ed ora, ben oltre i tre quarti del mio percorso su questa terra, mi rendo conto che è stata una delle poche scelte che non rimpiango. Non sarei stato un buon padre. Troppo centrato sul presente, sul qui e ora, a discapito di una visione a lungo termine, a discapito del futuro, incerto e traballante, poggiato sulle palafitte tra il fango che circonda l’umanità. Sì, ok, è una visione da fumetto in bianco e nero, non contempla le mille sfumature che intercorrono tra il primo e il secondo, foss’anche in una sola scala di grigi che Ansel Adams con le sue gigantografie ha ben rappresentato. Non sarei stato un buon padre perché non avrei saputo scendere a compromessi con le mie paure, con i miei incubi.

Non avrei saputo resistere alle voglie dei miei pargoli, e avrei messo il muso lungo sulla mancanza di voglie della mia Lei, presa tra pannolini da cambiare e rigurgiti da ripulire, tette da offrire ad altri che non sono io e frasi da ripetere all’infinito. Perché “io so, io ci sono passato, e vorrei evitarti perdite di tempo”, ma so che dirtelo non serve a nulla. Non sarei stato un buon padre perché questo mi fa capire che in realtà la formula non esiste, e centinaia di migliaia di anni di evoluzione mi sussurrano a gran voce che mi sbaglio: il mondo andrà avanti benissimo senza me e la mia progenie, e se ne fotterà allegramente delle mie paturnie. Potrò solo dire, alla fine, che lo sapevo. Che era previsto. Che il Tutto, come sempre, aveva ragione.” Matt ascoltò attentamente il fiume di parole che Greg aveva appena vomitato tra il serio e il faceto, dicendo tutto e nulla, come spesso accadeva dopo un paio di bicchieri di rosso nostrano, solfiti 100%. Gli piaceva Greg, con quel suo modo di fare perennemente sopra le righe, pronto a cambiare rotta rimanendo sempre saldo al timone, sulla breccia ma con i piedi ben piantati a terra. Anni di studio delle dottrine orientali e un passato burrascoso tra mille opportunità lasciate e qualcuna presa al volo all’ultimo secondo, lo avevano reso imperturbabile, tranne quando vedeva una neo-mamma alle prese con una nuova Vita. Ecco, lì sbroccava e partiva: “il fatto è che non sono padre…”

Matt parcheggiò la moto, sbottonò il giubbotto e istintivamente guardò alla sua desta, per sfottere Greg che ancora armeggiava col cavalletto per trovare il giusto equilibrio ed essere sicuro che la moto non cadesse. Si sedette e ordinò una bionda. Media. Fresca. E un gelato. Piccolo. Cremoso. Rimuginava sulle parole che Greg gli aveva detto tre mesi prima, prima della fine, prima che un pirata se lo portasse all’inferno, mentre gustava il gelato, piccolo e cremoso, e si godeva il fresco di quelle fine estate, in una birreria ai confini dell’impero dove era per caso arrivato in tarda serata.
Le luci gialle del cascinale lo avevano attirato come una falena, e come lei ora cercava il pertugio per avvicinarsi sempre di più a quel posto che sapeva di buono, di vecchio, di ricordi. Greg non c’era. Greg non ci sarebbe stato mai più. Matt accese una sigaretta e osservò la spirale d’argento che abbracciava i suoi pensieri, mentre il cielo piangeva come lui.
Massimo Zucca

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