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E’ tardi

Il mio funerale è stato bello, tutto sommato. Si, ho assistito al mio funerale. E mi sono commosso. Non è che sia uno dalle lacrime facili, intendiamoci, però vedere il dolore sincero sul volto delle mie figlie e su quello di mia moglie mi ha toccato. Profondamente. Cominciò tutto diversi mesi fa, quando per un brutto dolore allo stomaco andai dal dottore. Ricordo bene l’espressione dei suoi freddi occhi azzurri dietro gli occhiali dalla montatura dorata, mentre gli descrivevo i sintomi.
Facciamo un controllino! Mi disse. Tanto per stare tranquilli. Eccheccazzo! Pensai.
E così iniziò un calvario di esami, lastre, chemio, prelievi, ri-chemio, perdita di capelli e vomito e tutto il resto. La mia famiglia era terrorizzata. Le bambine che mi avevano sempre visto come il loro colosso, stavano assistendo ad un inesorabile declino. Sia fisico, che mentale. All’inizio nei loro occhi vedevo il dispiacere per la mia situazione. Dopo che le settimane passavano l’espressione di quegli occhi giovani fu incrinata da una certa irrequietezza.  Insofferenza, forse. Mi volevano bene, certo, però le stavo costringendo ad una vita terribile.
Passavano troppo tempo negli ospedali. Mi venivano a trovare, parlando delle loro vite, piene di attese e speranze.  A casa mi accudivano, anziché cercare un ragazzo di cui prendersi una bella cotta. E io soffrivo per loro, più ancora di quanto soffrissi per me.
Mia moglie poi. Non è mai stata una persona molto paziente e ha sempre avuto nei confronti della malattia un sacro terrore, che la agitava ed innervosiva. La mia condizione non risvegliava nessuna sindrome da crocerossina, anzi ogni scusa era buona per far tardi in ufficio o uscire con le amiche. Vai, le dicevo io, non ti preoccupare, io starò bene. E lei, no è meglio se sto a casa, se dovessi aver bisogno come faremmo?
E giù a litigare. Poi immancabilmente usciva per le femminee chiacchiere.
Allora presi una decisione. Me ne sarei andato dalle loro vite. Per sempre.
Non mi sentivo più tanto importante per loro, pensavo che dopo un bel pianto, si sarebbero consolate e avrebbero proseguito la loro vita, cosa che credo ancora.
Così inscenai un incidente. Fatto bene, cosa credete? Feci in modo di rispettare tutti i canoni, cosicché l’assicurazione avrebbe anche pagato un bel po’. Sarebbe stato un ultimo regalo alle donne della mia vita. Di morire non è che ne avessi proprio intenzione, perché insomma… mi capite. Feci in modo di passare tutti i controlli, per essere ritenuto valido alla guida. Il mio fisico reagì all’intenzione. Forse avere un obiettivo particolare stimolò le ghiandole, gli organi e tutto il teatrino a compiere quell’ultimo sforzo di guarigione. Il temporaneo miracolo avvenne. Presi l’auto e me ne andai al mare. L’aria fresca e piena di salsedine mi avrebbe giovato. Vai, mi dissero loro.
E poi giù lungo la scarpata e un bel tuffo dove l’acqua è più blu. Solo l’auto, che non venne ripescata.
Tre giorni dopo un funerale a bara vuota. Un bel funerale, ripeto. E adesso? Mi chiedo cosa sono rimasto qui a fare. Vivo, ma senza uno scopo. Vedo le mie figlie, a cui avrei ancora potuto dare l’amore di cui hanno bisogno, anche solo per breve tempo. Avrei potuto condividere con loro le mie esperienze. Avrei potuto ancora insegnar loro qualcosa. Vedo mia moglie, la mia amica più cara, la mia nemica più terribile, che si dispera per la mia mancanza. Ma non posso più tornare indietro.  Cerco di convincermi che sia meglio così. Ma in fondo, non ne sono affatto convinto.
AGO

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