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CHE IMPRESSIONE FA, IL SILENZIO

Il silenzio, nelle nostre vite, subisce un assalto costante: notizie urlate, clacson assordanti, smartphone che vibrano e cinguettano, sirene spiegate (specie per chi vive in città, come me), musica da ascensore, ottundente e schermi inseriti in ogni spazio possibile. Siamo costantemente collegati, accesi, alimentati, e sempre più terrorizzati dal silenzio, perché inconsapevoli di quello
che può offrire.
Anneghiamo le domande della vita nei frammenti sonori di un universo a 500 canali che non trasmettono mai niente. Un tempo, quando tornavo a casa o in una stanza d’albergo, la prima cosa che facevo era sintonizzarmi su un telegiornale.
Poi un giorno, non molto tempo fa, ho smesso. E mi sono resa conto di due cose. La prima era che non mi stavo perdendo nulla -nemmeno le cose utili a chi piace scrivere- se non gli stessi argomenti di discussione rimasticati a ciclo continuo da persone diverse.  La seconda cosa, la più importante, è che cominciavo a lasciar spazio a un po’ di silenzio nel quale riuscivo di nuovo a sentire quella vocina a cui raramente concediamo tempo e attenzione.
Non avevo perso nulla. In compenso, stavo guadagnando moltissimo. Sono anche migliorata nell’ascolto degli altri: mio nipote, la mia famiglia, gli amici.
“Interroga la tua anima!” esorta il poeta e romanziere tedesco Hermann Hesse nell’opera Il mio credo.
“Interrogala e il futuro acquisterà un senso, l’amore una voce. Non interrogare la tua intelligenza, non perlustrare la storia del mondo all’inverso! La tua anima non ti accuserà di esserti interessato poco di politica, di aver lavorato troppo poco, di non aver odiato abbastanza i nemici, di non aver
protetto a sufficienza i confini.
Ma forse ti accuserà di aver avuto troppo spesso paura, di aver scantonato di fronte alle sue sollecitazioni, e di non aver mai avuto tempo per dedicarti a lei, la più giovane e ammirevole delle tue creature, per ascoltare il suo canto; ti accuserà di averla venduta per denaro, tradita per qualche vantaggio (…) Sarai nervoso e tediato -così dice la tua anima- se mi
trascuri; così resterai e così perirai se non ti rivolgerai a me con amore e sollecitudine interamente nuovi”.
Moli pellegrini postmoderni -nella loro ricerca di pace, per imparare ad ascoltare il silenzio e lasciare all’anima lo spazio necessario a risvegliarsi- scelgono la via del ritiro, nei monasteri, nei templi e nella natura.
Tradizionalmente, le vacanze erano intese come un momento per ricaricarsi, nello spirito come nel corpo, consentendoci di rallentare e attingere nuovamente alla nostra innata ma repressa capacità di stupirci, oltre che di riconoscere la grandezza e l’abbondanza delle nostre vite. Ricordo una vacanza del genere con mia madre, non molto tempo fa, in Sardegna. Coincidenza volle che, quella stessa settimana, la rivista Vanity Fair avesse pubblicato una storia di copertina sugli effetti terapeutici della fede. Alcuni abitanti di Orgosolo avrebbero riso al pensiero che servissero esperimenti scientifici, con tanto di gruppi di controllo, per dimostrare il potere del silenzio, della contemplazione, della preghiera. E di Dio. Gli abitanti di Orgosolo erano in grado di raccontare un’infinità di aneddoti sul valore del silenzio. La naturalezza con cui quelle persone parlavano della loro vita agreste lavava via le scorie della vita quotidiana.
Riuscivo a immedesimarmi in loro totalmente. Provate a fare a meno di tv, news, cellulare. Per dare all’anima lo spazio per stupirsi e porsi, di nuovo, le semplici domande della vita.“Che cos’è il successo? E’ potersi coricare ogni sera con l’anima in pace” scrive Paulo Coelho.

Amici, sono qui per dire grazie,
semplicemente grazie.
Ho vissuto un giorno incredibile,
altri ne arriveranno in futuro
e non dovrete aspettare molto,
è una promessa.
Tutti dovrebbero provare,
anche solo per un istante, l’emozione
che si vive parlando e raccontando
di ciò che nutre la propria anima. Quando stamattina sono salita dai gradini della mia ex scuola superiore, sembrava stesse avvenendo un piccolo miracolo.
E’ difficile da descrivere ma ci proverò.
In ventinove anni sono cresciuta, alcuni di voi mi conoscono molto bene, sono nate grandi amicizie e mi sono
innamorata almeno un milione di volte. Di un luogo, di un panorama, di una poesia, di un libro, di un sorriso, di una canzone, di una melodia, di una lacrima, di una persona, di uno sguardo,
di un dipinto, di un abbraccio,
di una fotografia. E me ne accorgevo la sera allo specchio, guardandomi negli occhi. Molti di quei volti che ho visto di fronte e accanto a me sono rimasti al mio fianco dal primo istante,
con dedizione assoluta.
Grazie.
Lo sapete, sono la persona
più autocritica del mondo, ma questo giorno del mio compleanno
mi ha riempito di soddisfazioni.
C’era un’aula traboccante di ragazzi e ragazze, una bellissima energia, una professoressa che abbraccerei a vita.
Ma la soddisfazione più grande è stato vedere gli occhi di quei ragazzi.
“Sono più o meno contenta”, dicevo l’anno scorso la sera del giorno del mio compleanno. Oggi posso dire di essere felice…e per me è un grande traguardo.
Sono orgogliosa anche dei miei sbagli. Per questo oggi mi è capitato di riderci sopra quando ci ho ripensato.
E’ una sensazione stupenda essere,
di fatto, orgogliosi dei propri errori.
Mi avete scritto e detto un sacco di cose belle in questi anni targati “New Entry” ma sono sempre più convinta
di non essere tanto io quella “forte”. Perché voi siete più forti di me.
Ancora una volta, la vita o chi ci sta dietro, mi ha lasciato senza respiro
e poi senza parole.
GRAZIE.
La casa della scrittura
non avrà mai porte.

Che non si nasce per caso il primo giorno di primavera.
Vi abbraccio.
Vostra,

J.

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