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Autismo: il Mostro del Silenzio La Pescatrice di Voci (Ottava parte) Autrice: Daniela Vanillo

Una storia sussurrata a piccoli passi.

Intanto gli anni passano e siamo nel 2010. Siamo al mare mia figlia è molto contenta quando torniamo nel solito posto. Conosce bene il layout del villaggio, il supermercato, il bar, la spiaggia, i percorsi, le piscine.
Immobile quasi priva di tempo osserva le nuvole ferme come lei. Quando cammina invece guarda sempre verso il basso ma registra tutto e quando mi parla non mi guarda mai negli occhi. Quando aveva circa tre anni io e lei ci guardavamo negli occhi, scambiandoci messaggi d’amore, poi man mano, il suo sguardo l’ho perso così come i suoi messaggi. Ogni tanto mi permetto di chiederle di guardarmi ma capisco che per lei è troppo e la richiesta tende più a soddisfare il mio bisogno di normalità. Cerco sempre l’intenzione nei suoi occhi che guardano oltre la mia persona.

PARTE QUARTA
RACCONTO E TRADUCO

Oltre la mia persona

Siamo in piscina e vicino a lei una bambina le parla, sono molto preoccupata. Spesso devo intervenire per stemperare la situazione un aiuto una spiegazione una parola che manca, oppure tante parole come tante stampelle. Questa volta va bene, forse la bambina che le parla ha centrato l’argomento che apre la conversazioneche apre la sua mente. E’ bello vederla parlare ed incantata fermo il tempo.
È passato un giorno. L’incanto è svanito. Il giorno dopo si ripresenta la stessa situazione ma questa volta la chiave non apre la stessa serratura e l’incontro non avviene. Una mia frettolosa spiegazione alla mamma ed alla nonna della bambina: “Mia figlia non è maleducata è diversa”. Poi cerco la risposta e chiedo a mia figlia di spiegarmi la differenza fra le due situazioni e questa volta inaspettatamente risponde: “La sua faccia non la ricordo e poi non riesco a fare due cose insieme, ieri ero libera, oggi ero occupata: stavo leggendo così non potevo salutarla.
Voi riuscite a fare più cose insieme, io faccio a malapena una cosa, quindi devo analizzarla e poi se riesco, la eseguo ma così perdo l’attimo. Ma la mia spiegazione è nulla, non serve; quelli come me sono la minoranza e quelli come voi la maggioranza che vince sempre e che quindi è nel giusto” poi continua a leggere camminando.

Poi continua a leggere camminando

Che strano mondo sospeso è il mondo di alcuni di questi ragazzi, un mondo privato, dove la decisione psicologicainvolontaria del ritiro sociale li porta ad allontanarsi dal mondo reale, sterile e privo di spontanei desideri.
Maria racconta: “Un giorno mi sono accorta che non ero un gatto. Non ho mai capito bene cosa io fossi, semplicemente non me lo sono mai chiesta. Certe differenze non le notavo e non pensavo fosse importante capire cosa ero e dove camminavano. L’importante era che il suolo sotto ed il vuoto attorno a me non fossero rumorosi. Un giorno ho semplicemente guardato verso una finestra aperta poi mi sono girata verso un essere nero e peloso con due occhi verdi che mi osservava. Non ero abituata ad essere osservata. Mi sono guardata, non ero nera e non avevo peli. Ho chiesto ad una persona, quella che si faceva chiamare nonna cosa fosse. La nonna mi rispose che era un gatto, cioè un animale. Avevo circa quattro anni così mi ha raccontato mia madre.
Da quel giorno ho incamerato il fatto che le differenze fanno la differenza e che il mondo dei gatti era più simile al mio di quanto non lo fosse quello degli esseri umani: “Adoro i gatti!”. Come loro amo essere lasciata in pace, nascondermi e non essere trovata, essere chiamata e non sentire o non rispondere. Nessuno vuole capire che sono in una dimensione parallela dove esistono anche i nostri contrari e cioè l’opposto di ciò che siamo nella versione”Abitante della terra”.

Nella versione “abitante della terra”

Maria gira per la casa, ma il suo giro finisce sul divano. Lenzuolino sulla testa e procione in mano. Seduta accanto a lei, la vedo dondolarsi. Le chiedo se facciamo parlare “Sophia” ma non risponde, siamo nel 1997 ha circa due anni.
Mi sono sempre chiesta dove andasse sotto il lenzuolino con i topolini. Quando passava troppo tempo cercavo di avvicinarmi lentamente per cercare la sua attenzione oppure, la prendevo in braccio con garbo.
Era comunque un risveglio.
Con la fretta la perdevo.
Mi sentivo alla stazione ferroviaria aspettando qualcuno che non ti dice quando tornerà e se tornerà!

Non ti dice quando tornerà e se tornerà!

Mi sono sempre ripromessa, se ne avessi avuto la possibilità, di chiederle una volta cresciuta, di descrivermi i suoi viaggi ed i luoghi visitati in quel posto senza tempo dove le voci scompaiono.

Siamo in soggiorno, lei sul divano bianco, io seduta sulla poltrona vicino a lei sempre con lo stesso pensiero: “Cosa faccio? Come faccio? Nessuno mi tranquillizza, tutti mi dicono il contrario di ciò che pensano assecondandomi. L’imbarazzo degli altri è molto più esaustivo di mille parole, certe pause, certi occhi che si incontrano complici mi hanno sempre ferita di più della voce della verità.

Maria racconta: “Non so cosa volete da me. Volete che parli? Che dica delle cose intelligenti? Ma perché, se le avete dette tutte voi. Io non ho nulla da dire e se mi fate una domanda scontata, non ho proprio una risposta. Spesso non so cos’è una risposta. Io voglio solo essere lasciata in pace. Alla vostra urgenza di comunicazione, alle vostre ansie dovete provvedere voi dato che per voi è una passione parlare. Io la mia l’ho trovata ed un giorno, se riuscirò, la racconterò. Mamma tu sei la persona che mi rispetta di più ed alla quale Dio ha dato una voce perfetta, che non mi disturba come tutte le altre, mi chiedo come abbia fatto! A me le voci ed i rumori infastidiscono e quindi sono fortunata quando riesco a non sentirli.

Sono fortunata quando riesco a non sentirli

Maria racconta il viaggio sotto il lenzuolino: sono qualcosa e sono in un posto con tanti fili uno dentro l’altro e continuo a camminare senza sosta. Mi sento tranquilla, non ci sono rumori non ci sono voci che mi rincorrono, nessuno mi toglie le mani dal viso. C’è pace e la strada che percorro è a strisce nere e gialle, tutte uguali. Io ed il mio procione camminiamo e sono in pace. Incontro un topolino, tanti topolini sorridenti con la coda sollevata. Guardo le loro scarpe: sono buffe, guardo i miei piedi e non li trovo.
Mi chiedo se queste strade portino da qualche parte ma poi non mi interessa, è un luogo sicuro ed un giorno parlerò con topolino. Lui mi sorride sempre insieme ai suoi amici mentre saltella allegramente. Mi vieni in mente, è tardi e se sono stanca sentirò la tua voce perfetta. Tu mi togli il lenzuolino e mi asciughi la testa perché sono sudata. Quando succede tutto questo Maria ha due anni e mezzo. Mi racconterà queste sensazioni all’età di otto anni.

Mi racconterà queste sensazioni all’età di otto anni

Mi impegno per distrarla per non perderla. Non voglio che si perda in quel mondo che non conosco, sento che è molto facile ma io non mi distraggo e per far questo abbandono tutto. La mia speranza e l’incertezza degli altri, sono la mia forza. Niente di definitivo, tutto possibile e tutti impreparati! Quando Maria non parlava più, e dopo mesi era riuscita a chiedere un bicchiere d’acqua all’insegnante della scuola materna, mi raccontò come la voce fosse tornata. Maria racconta: “Mamma io gridavo imprigionata dentro la gabbia del mio corpo ma tu non mi sentivi ed io non riuscivo a toccarti perché la voce intrappolata me lo impediva. Ero proprio in fondo e non riuscivo a sentirti. Io e la mia voce non riuscivamo a raggiungerti. Ma tu cantavi sempre, mi facevi galleggiare nell’acqua, facendomi sentire leggera e trasparente. Balli e giravolte, le stesse che ora faccio quando sono nell’acqua. Mi mostravi tutti i giorni, colori e giochi nuovi, sempre diversi.
Io però volevo rimanere sicura dentro lo stomaco, ma poi riuscivo ad ascoltarti, ed era bello pensare di stare con te. La tua voce perfetta mi attirava e non volevo stare lontana da lei. Ero sempre dentro lo stomaco in compagnia della mia voce ma poi piano piano risalivo, ma la voce precipitava, mentre la tua voce diventava sempre più forte. Capisco che sto per tornare perché mi abbracci forte. Tu fai sempre così quando parlo ed ora so che tu mamma sei “Una Pescatrice di Voci”.

Una Pescatrice di Voci

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