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ALIM

Sembrava un piccolo fiore appassito, un fiore un poco reclinato sullo stelo avvizzito, così, come in atto di rassegnata tristezza. Si chiamava Alim. Poteva avere forse dieci, dodici anni, ma per la sua magrezza, non ne dimostrava più di otto. Era piccolo, quel bimbo, ma quanta vita tratteneva nel suo sguardo…! Elena lo incontrava quasi ogni mattina all’incrocio del paese: stava appoggiato al muretto del semaforo, la fronte offerta alla gente, gli occhi perduti nel tempo…! Forse non vedeva nessuno dei passanti; il suo viso sgomento sembrava ascoltare la tacita voce dei sogni e dei ricordi. Stendeva la mano, forse più per abitudine e, ad Elena, sembrava che non cercasse pane, ma bocconi d’anima. 

Cominciarono a salutarsi. Ogni mattina. Poi, si sorrisero. E nacque l’intesa…!

Alim aspettava l’ora dell’incontro: si riempiva il cuore di quel sorriso solo suo. Non si sentiva più così inutilmente solo. E non capiva, anzi, non lo avrebbe mai capito: non era lui a ricevere il dono…! Elena si stupiva ogni giorno della gioia che sentiva dentro il cuore, ogni volta che il suo sguardo e il suo sorriso si confondevano con lo sguardo e il sorriso di quel piccolo uomo. Lui la salutava con un “ciao, signora” e lei aveva un bel daffare a fargli capire che doveva chiamarla Elena. 

Sentiva quel bambino come parte della sua vita: senza conoscerne nulla, percepiva che avrebbe potuto amarlo come un figlio. Lei, che sapeva la vita e la morte, le ore dolenti, i suoni di campane, canti di usignoli, a volte l’uragano e poi l’arcobaleno; lei, che conosceva il male di vivere, spinoso come un rovo, i margini opachi dell’anima e le armonie percorse da fremiti e silenzi, lei… cominciò a vivere per questo incontro. Si stava avvicinando il Natale e le strade si riempivano di luci festose, di colori e di dolci melodie. Faceva freddo. Alim, sempre più smagrito e con gli occhi cerchiati, ogni giorno era puntuale all’incontro, all’angolo della strada. Quel mattino, poi, aspettava la “signora” con più desiderio del solito. Voleva chiederle il perché delle luci e dei suoni festosi, ma soprattutto del perché la gente appariva più gioiosa e più buona. Ed Elena, felice, parlò del Natale. E raccontò della Nascita del Bimbo e di come si sentiva e si viveva nella sua famiglia. Disse anche che, ogni persona, la notte di Natale, poteva esprimere un desiderio: Gesù Bambino lo avrebbe esaudito. E Alim lo aveva un desiderio: voleva l’unica cosa che era stata veramente sua: la libertà di correre lungo le rive dei fiumi, nella sua terra calda e sconfinata, nascondendosi dietro gli alberi e accoccolarsi, stanco e appagato, ad ammirare l’argento della luna e l’oro delle stelle. Sorrise felice al pensiero che, forse, avrebbe potuto essere Natale anche per lui. Si salutarono: “ciao signora”, disse Alim. Nemmeno questa volta era riuscito a chiamarla per nome…! Il mattino dopo, Elena non lo trovò al consueto appuntamento. E neanche il giorno dopo e quello dopo ancora. Cominciò a preoccuparsi: chiese a tanti, a tutti, ma nessuno le sapeva rispondere, finchè, la vigilia di Natale, un vecchietto le disse di averlo visto portare in ospedale. Lo cercò per diverse ore e in ogni reparto. L’ospedale della città era molto grande e faticò a trovarlo. 

Lo vide sul lettino di una corsia: era freddo e immobile. Il piccolo fiore appassito aveva reclinato il capo in dolce abbadono. 

Negli occhi, aveva le onde limpide e chiare dei fiumi, il calore della sua terra e il cielo blu, tatuato di stelle. 

La mano era chiusa: sembrava custodire gelosamente un tesoro. 

Lei, dolcemente l’aprì e vi trovò un piccolo foglio accartocciato. Lo prese, ansiosa e lesse: “Buon Natale, Elena”!

Chiara De Ponti

 

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