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1981: Referendum abrogativi in Italia

La legge italiana che regola l’accesso all’aborto è la Legge 22 maggio 1978, n. 194, approvata dal parlamento dopo vari anni di mobilitazione per la decriminalizzazione e regolamentazione dell’interruzione volontaria di gravidanza da parte del Partito Radicale e del Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto (CISA), che nel 1976 avevano raccolto oltre 700.000 firme per un referendum – patrocinato dalla Lega XIII maggio e da L’Espresso – per l’abrogazione degli articoli del codice penale riguardanti i reati d’aborto su donna consenziente, di istigazione all’aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia. Solo l’anno precedente il referendum sul divorzio aveva mostrato la distanza tra l’opinione pubblica e la coalizione a guida democristiana al governo. La Corte Costituzionale inoltre nel 1975 consentiva il ricorso all’aborto per motivi molto gravi.

La legge 194 consente alla donna, nei casi previsti, di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica. La legge 194 istituisce inoltre i consultori come istituzione per l’informazione delle donne sui diritti e servizi a loro dovuti, consigliare gli enti locali, e contribuire al superamento delle cause dell’interruzione della gravidanza. La legge stabilisce che le generalità della donna che ricorre all’IVG rimangano anonime. Il ginecologo può esercitare l’obiezione di coscienza. Tuttavia il personale sanitario non può sollevare obiezione di coscienza allorquando l’intervento sia “indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo” (art. 9, comma 5).
La donna ha anche il diritto di lasciare il bambino in affido all’ospedale per una successiva adozione e restare anonima. Questa legge è stata confermata dagli elettori con una consultazione referendaria il 17 maggio 1981.
Cinque furono i referendum abrogativi, di cui due sull’abrogazione di parti della legge 194 riguardanti «Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza» (gli altri tre quesiti riguardavano l’ordine pubblico, l’ergastolo e il porto d’armi). Una delle proposte era del Partito radicale, che mirava ad un allargamento della possibilità di abortire, proponeva l’abrogazione di tutti i procedimenti, e i controlli di tipo amministrativo che si riferivano all’interruzione di gravidanza volontaria, come pure tutte le sanzioni per l’inosservanza delle modalità configurate dalla legge 194. L’altra proposta era del Movimento per la vita di matrice cattolica, e mirava all’abrogazione di ogni circostanza ed ogni modalità dell’interruzione volontaria della gravidanza, quali previsti dalla legge 194. In entrambi i casi prevalsero i no e la legge 194 non venne toccata. L’opinione pubblica all’epoca risultò molto divisa e ci furono molte manifestazioni pro e contro nel periodo che precedette il referendum. Fino al 1975 in Italia abortire era ancora un reato, e comportava molti rischi per la madre, oltreché possibili conseguenze legali; grazie ad una sentenza della Corte costituzionale si cominciò a considerare maggiormente la salute della madre rispetto alla vita del nascituro. Con la legge 194 del 22 maggio 1978 si riconobbe alla donna il diritto ad interrompere, gratuitamente e nelle strutture pubbliche, la gravidanza indesiderata.
I referendum vedevano la proposizione di alcune tematiche «classiche» del Partito Radicale (reati di opinione e associazione, abolizione dei Tribunali Militari, aborto, fermo di polizia, ergastolo, porto d’armi) e altre «nuove» come la legalizzazione delle droghe leggere, la lotta al nucleare, l’abolizione della caccia, la smilitarizzazione della Guardia di Finanza.
L’abrogazione di parte della legge 194 sull’aborto pubblico e gratuito (ottenuto anche grazie alle battaglie degli anni settanta), per il Partito Radicale, aveva l’obiettivo di cambiare la legge in alcuni suoi aspetti, facendo ad esempio cadere la condanna a tre anni di reclusione per chi abortiva o faceva abortire dopo i novanta giorni.
Gli italiani si pronunciarono per il mantenimento delle norme.

 

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