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VIVERE IN LOMBARDIA NEI MESI SCORSI

In casa, teniamo almeno un metro di distanza anche quando chiacchieriamo, mangiamo agli estremi del tavolo, togliamo le scarpe prima di entrare in casa, non ci abbracciamo più, nonostante il bisogno di abbracci sia più forte che mai, e la sera ognuno va nella sua stanza. Noi, che la sera insieme davanti alla TV era sacra, che si litigava sempre per decidere cosa guardare, che ci si addormentava sempre sul divano e si veniva svegliati dal primo che si accorgeva dell’ora. Però dobbiamo per forza fare così.
Mia sorella è medico e da quando è scoppiata l’epidemia vive da sola, in isolamento volontario nell’appartamento vuoto di mia nonna. Mangia da sola, dorme da sola, sta sola tutto il tempo in cui non lavora. E questo nonostante il momento psicologicamente delicato che sta attraversando, nonostante le lacrime che ha versato nei momenti più difficili e nonostante lo sconforto e la paura di certe sere. Io, che con mia sorella ci vivo, la vedo solo in videochiamata da due mesi. Ma dobbiamo per forza fare così.
Non vedo il mio ragazzo da un mese e mezzo. E questo, per chi è innamorato, è una tortura. Ma proprio perché siamo innamorati sappiamo che non possiamo vederci, che dobbiamo tutelarci e tutelare chi vive con noi. Non possiamo abbracciarci, non possiamo toccarci, non possiamo fare altro che vederci attraverso uno schermo e cercare di sorridere, per darci forza a vicenda, e ripeterci che finirà presto. Dopotutto, dobbiamo per forza fare così. Vedo i miei amici solo in videochiamata, una volta a settimana e con tutti i disagi del caso: connessione che salta, computer che si spengono, batterie che si scaricano, audio che si scollegano, applicazioni che crashano. Niente a che vedere con un buon caffè al bar e il lusso di poter guardare davvero negli occhi le persone a cui vuoi bene. Ma so che in questo momento la cosa più preziosa che puoi fare per una persona a cui vuoi davvero bene è rinunciare a vederla.
Quindi dobbiamo per forza fare così. Per uscire di casa indossiamo guanti e mascherine. Per uscire a lavorare, a fare la spesa, e ad andare in farmacia. E basta, perché poi col cavolo che usciamo, perché non si può, perché è giusto che non si possa e perché abbiamo paura, perché il virus uccide e la gente muore per davvero. La sera le mani sono bianche e bagnate perché tenere i guanti per dieci ore al giorno le fa sudare incredibilmente, e la testa fa male perché no, con le mascherine non si respira per niente bene e a tratti sembra che manchi l’aria. Eppure dobbiamo per forza fare così.
Tutti bravi a cantare dai balconi l’inno di Mameli, in quelle scene così intense da far venire la pelle d’oca. Tutti bravi a incitare alla positività e a sfoggiare l’hashtag andrà tutto bene.
Fino a quando non vi hanno toccato la Pasqua, la Pasquetta, il 25 aprile e pure il Primo maggio. E allora non ci state più, e allora governo ladro, Conte impostore e Mattarella complice.
E allora tutti in macchina che si va al mare, in montagna, dagli zii in Svizzera, dai nonni in Sardegna. Nessuno dice che sia facile, nessuno lo ha mai nemmeno pensato. Ma va fatto. Quindi, se non volete vanificare tutti i sacrifici che io e altre migliaia di persone in tutta Italia stiamo facendo, per favore, fermatevi. Perché altrimenti vi toccano pure Ferragosto e il prossimo Natale e magari vi toccano pure la salute.
Perché non so se sia abbastanza chiaro, ma si muore davvero, senza distinzione di età, sesso, peso, altezza, colore e religione. Quindi, spegnete le auto, salite in casa e fate quello che ci chiedono, fate quello che ci dicono. Perché sì, dobbiamo per forza fare così.

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