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UNA VALIGIA

Memoria affonda, celere riaffiora, riporta stralci di vita, aspri dolori, solitudini, mancanze, morte. Giorno della memoria.
Mille i pensieri, gesti, parole che all’unisono gettano semi, colgono di sorpresa.
L’immagine di una valigia spicca al di sopra di tutto: di occhi sgranati, di volti sbarrati dall’orrore; dall’odore di morte che accomuna migliaia di vite sospese.
Quale l’ultimo pensiero, accenno di vita?
Quale la potenza di dita serrate prima che grido furente spezzi sogni? Frantumi poesia? Serri catene? Prima che l’amore indossando abiti lisi diventi odio? Discriminazione? Annullamento? Nell’istante preciso in cui il tutto si fonde con il presente, in cui presente e passato prendono forma comune quali i pensieri, monili, desideri, ricordi da infilare alla rinfusa in una valigia, ripromettendosi prima o poi di dare, di voler necessariamente dare, un senso compiuto al susseguirsi degli eventi, al momento non comptesi, repressi. Quale il sentimento che scalfendo, scandendo, infossando, passo dopo passo condisce attesa aspra?
Se qualcuno oggi, domani, in un futuro prossimo o remoto dovesse col dito puntato ordinarmi di andare esortando, in una lingua sconosciuta, a raccogliere gli effetti personali per un lungo viaggio senza meta cosa porterei? Necessità e primizie? Sicurezze di una vita lasciata alle spalle? Forza nuova per vivere quella presente? Ardire e passiome? Tempra?
Se mi fosse dato di scegliere di certo nella valigia metterei gli occhi di Vittoria, le mani di Celeste, le carezze di mia madre… fantasia per andare, fede per camminare… una manciata di sogni e tanta allegria ….una penna e dei fogli per fissare… una pezzuola di lino per asciugare le lacrime nella fatica e nella solitudine … foto per non dimenticare …. minuzie, leggerezza, armonia… La pace di una sera qualsiasi, l’allegria di un giorno usuale, il rosso del sole, la gialla nebbia, il ticchettio della pioggia, il candore della neve, il barrito del vento, la delicatezza di un soffio ……
Se tempo e spazio mi fossero repentinamente, con rabbia, rubati, in un battito d’ali strappate, ridotti a cenci di certo nella valigia, per istinto materno, infilerei il “depakin”, farmaco salvavita per Vittoria; un orologio per scandirne la somministrazione……una manciata di fogli bianchi e tante matite colorate per Celeste in modo possa il mondo ricordare e tingere di speranza.
Contravvenendo agli insegnamenti di Pitagora il quale esorta a mai voltarsi indietro verso la propria dimora prima d’ intraprendere un viaggio… senza esitazione, con sguardo che sa di carezza e gratitudine abbraccerei la MIA CASA nel cuore serbandola come tesoro prezioso.
Ondine in fuga di un grande oceano chiamato vita, tracce invisibili annerite dal fumo di ciminiere, orme sulla neve, distratte, confuse, appesantite dal dolore e dall’amarezza fanno eco in questo giorno, riflessioni fanno nascere, attardate mutano in dolcezza.
A ciascuno, mai, in nessun tempo ed in nessun luogo, nel presente e nel futuro deve essere negata la possibilità di essere UOMO, figli prediletti di un Dio dai mille nomi, razza e colore. In una sola lingua, quella dell’ AMORE e della LIBERTÀ la vita deve essere narrata, vissuta, resa testimonianza.
Milena, la mamma di Vittoria e di Celeste

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