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Una rosa del deserto libico

Il giovedì, all’Accademia Navale di Livorno, è il giorno della libera uscita degli allievi. Alle 17 escono gli allievi dal cancello principale del viale degli Ammiragli, salutano l’ufficiale di picchetto che controlla la divisa sempre in ordine e si disperdono: chi aspetta il bus che porta in città, chi attende un parente venuto da lontano, chi va a piedi. Nessuno ha l’auto. E’ vietato dal regolamento. Ci sono le allieve che escono a piccoli gruppi, eleganti nella loro divisa di ordinanza. Ci sono anche gli allievi stranieri che seguono i corsi regolari e al termine riceveranno il grado di guardiamarina della Marina del loro Paese. Si riconoscono dalla targhetta sulla divisa posta all’altezza della spalla sinistra. Qualche anno fa conobbi M., allievo proveniente dalla Libia di Gheddafi. Era l’unico. Allora i rapporti con la Libia erano ottimi e Gheddafi ci teneva a inviare i suoi giovani a formarsi presso le nostre Accademie Militari. M. era uno di questi. L’incontro con questo ragazzo di vent’anni, timido, che parlava la nostra lingua in modo quasi perfetto (l’italiano a Tripoli viene insegnato nelle scuole), fu occasionale. Ero sul bus quando M. salì alla fermata nei pressi dell’Accademia. Si avvicinò e mi chiese se il bus era diretto alla stazione. Risposi di sì e gli chiesi da quale città della Libia provenisse. Tripoli, rispose con un sorriso. Sentir pronunciare Tripoli fu come risvegliarmi una marea di ricordi… 1913, il nonno capostazione a Tripoli… In quel momento avrei voluto raccontare a quel ragazzo la mia storia ma mi trattenni. Lo accompagnai fino alla stazione e gli detti tutte le informazioni possibili. Prima di lasciarlo gli diedi il numero del mio cellulare. “Se hai bisogno sai a chi rivolgerti”. Dopo qualche mese, a fine corso, mi telefonò ed espresse il desiderio di incontrarmi. Ci incontrammo un giovedì pomeriggio all’uscita del cancello principale. Aveva in mano un pacchetto. “E’ una rosa del deserto libico, un ricordo della nostra amicizia”. Ci sedemmo su una panchina e gli raccontai l’avventura di mio nonno e di mio padre a Tripoli dal 1913 al 1919. Ascoltò con interesse il mio racconto e mi disse: “ a Tripoli ci sono ancora tanti ricordi dell’Italia di allora. Domani rientro a Tripoli ma non so se a settembre ritornerò a Livorno”. “Spero proprio di sì”. 2011: la guerra, la fuga dalla Libia di centinaia di libici sulle carrette del mare, gli sbarchi a Lampedusa, le immagini alla televisione. Volti provati di giovani che chiedono acqua, che sono tratti in salvo prima di naufragare in quel mare che dovrebbe essere solcato da navi recanti soltanto benessere e svago. Su una di quelle carrette c’è anche un giovani di Tripoli che qualche anno prima aveva frequentato l’Accademia Navale e aveva sognato di diventare ufficiale della Marina Libica. Era fuggito, invece, lasciando la divisa, con un paio di jeans e una maglietta. Non aveva più nessuno a Tripoli perché i genitori erano rimasti sotto le macerie dopo un bombardamento da parte degli aerei della Nato. Sbarcato a Lampedusa cercò di sfuggire al campo di accoglienza approfittando del saper parlare un italiano corretto. In tasca aveva solo un cellulare e quel numero dell’amico di Livorno. Provò a chiamare. “Sono M. si ricorda di me?”. “E come non mi ricordo! Dove sei, cosa vuoi, dimmelo! Cerca di arrivare a Livorno, ti aspetto…” gli dissi. Dopo dieci giorni sentii di nuovo squillare il telefono. Era M. “Sono alla stazione”. Gli andai incontro. Non lo riconoscevo. “Sei ancora un amico?” mi chiese. “Sì, dimmi di cosa hai bisogno”. “Ho bisogno di soldi per andare in Francia, c’è mia sorella, un giorno te li restituirò”. E feci contento quel ragazzo incontrato per caso sul bus con la divisa di allievo dell’Accademia Navale.
Mario Lorenzini
Fonte: “La Rocca”
Una favola dei nostri giorni, leggerlo fa comprendere, come per caso puoi fare del bene ed aiutare un amico.
Nonna Grazia.

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