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ULTIMO GIORNO DI SCUOLA

Ieri mattina ero sulla navetta per andare al lavoro. Il traffico era ancora relativamente tranquillo e guardavo scorrere la città dal finestrino: le vetrine dei negozi e dei supermercati illuminate respiravano quiete prima dell’apertura e dell’orda di acquirenti nervosi dai carrelli colmi.
I palazzi lasciavano il posto ai campi secchi; scendeva la nebbia che avvolgeva silenziosa gli alberi dai rami spogli. Era l’ultimo giorno di lavoro e poi quindici giorni di vacanza! Mi sentivo felice come una scolaretta all’ultimo giorno di scuola.
Il paziente con la sua nuova pompa per il cuore passerà il Natale a casa sua. Sta bene e, spesso, entrando in questi giorni nella sua stanza, l’ho trovato a scherzare e ridere con la moglie. Mi si allargava il cuore ad ogni loro sorriso.
So bene che qualche stanza più in là gli stati d’animo sono molto diversi. Questa è la vita, e non si ferma solo perché è Natale. Gioia e pensieri convivono, ma ieri ho lasciato spazio alla gioia. Sono uscita con i sacchetti luccicanti dei regali di colleghi e pazienti. E oggi, riposata da ore filate di sonno, festeggio il mio primo giorno di vacanza preparando il pane con l’uvetta e la farina di castagne. Mi sento centrata: serena, con gravità.
Quella gravità che mi tiene coi piedi per terra, immersa nella vita, nei suoi problemi, nella sua ricchezza.

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