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The Hunting Party – Linkin Park

LE TRACCE
01.Keys To The Kingdom
02. All For Nothing (feat. Page Hamilton)
03. Guilty All The Same (feat. Rakim)
04. The Summoning
05. War
06. Wastelands
07. Until It’s Gone
08. Rebellion (feat. Daron Malakian)
09. Mark The Graves
10. Drawbar (feat. Tom Morello)
11. Final Masquerade
12. A Line In The Sand

Quando i Linkin Park annunciano un nuovo album, si scatenano i dibattiti che ormai durano fin dai loro esordi e che, purtroppo, non li abbandoneranno mai. Da una parte si schierano i cosiddetti “metallari veri”, quelli che se non ci sono urla e batterie in perenne doppia cassa non è metal, che li considerano solo una delle molte band della generazione pop-rock, dall’altra i semplici ascoltatori di musica senza pregiudizi, che si permettono di criticare, giustamente, solo ascoltando gli album. Le divergenze non possono che essere molte, ma un’idea comune c’è: i Linkin Park, quelli veri, non si vedono da Meteora. Minutes To Midnight era un esperimento uscito male, A Thousand Suns sapeva troppo di confezionato giusto per apparire qualche volta su MTV e in classifica, Living Things, seppur decisamente migliore, presentava troppa elettronica. Occorreva dunque che nell’anno 2014 Chester Bannington e compagni cambiassero di nuovo stile, o meglio cercassero una via di mezzo tra l’alternative metal degli esordi, secondo a pochi altri, e quel pasticcio costruito a console e distorsioni degli ultimi lavori. The Hunting Party è proprio questo. Sebbene risenta ancora, e molto, delle influenze del periodo più elettronico, questo disco rappresenta il ritorno a un punto in cui si intravede, di nuovo, del metal. Tornano le chitarre distorte, tornano le tempistiche e le ritmiche veloci, gli scream; tornano i Linkin Park che avevano incantato la nuova generazione di metalheads, quella in cui Iron Maiden, Metallica o Black Sabbath contavano poco, se in quegli anni circolavano ensemble come System Of A Down e Rage Against The Machine (nomi non citati a caso, in questo contesto).
Già dall’opener Keys To The Kingdom si capisce il concetto che i Linkin Park vogliono esprimere con questa loro fatica: sono ancora loro, come lo erano prima di Minutes To Midnight. Anche se gli scream di Chester non sono azzeccatissimi, il pezzo spiazza l’ascoltatore che si aspettava l’ennesimo wub e si ritrova un riff sormontato da un Shinoda che appare, come del resto tutti gli altri componenti del gruppo, in grande forma, con un rap che nonostante la melodia decisamente heavy stona per niente. Superata la sorpresa del primo brano, eccoci al primo dei quattro illustri featuring di questo nuovo lavoro targato Linkin Park: Page Hamilton, frontman della band alternative metal Helmet, mostra le sue qualità in un ritornello tipico del genere, ma che comunque non fa una piega. Il pezzo è meno duro del precedente, ma la chitarra in tutta la sua distorsione si fa sentire, e questo non può che giovare al sound del gruppo. Il primo singolo rilasciato, Guilty All The Same, sinceramente mi aveva lasciato un po’ perplesso, e all’ascolto del disco confermo la mia opinione a riguardo: intro lunga, pezzo lungo, featuring con un certo Rakim, solo uno dei migliori rapper di sempre secondo molte classifiche, che però sembra stonare un po’ con le sonorità dei Linkin Park. Versi pregevoli, ma che spezzano un po’ quella durezza che ha questa traccia, la quale però confema la ritrovata vena quasi metal degli statunitensi. Breve intermezzo, evitabile, di mellotron, effetti sonori e distorsioni sparse qua e là, chiamato The Summoning, e si riparte con la seconda, abbondante, metà di questo platter. War è un pezzo succinto, così come dev’essere, ricorda vagamente i Pantera di Vulgar Display Of Power, questa volta anche lo scream di Bannington è ben riuscito, in particolare l’ultimo, di pura potenza vocale. Ma, ahimè, non tutto l’album si mantiene a certi livelli. Mi riferisco ai pezzi successivi, Wastelands e Until It’s Gone, molto vicini al sound espresso negli ultimi anni dalla band, deboli nel rap, scialbi e confusi, soprattutto Wastelands, nelle ritmiche. Brutta e snervante anche la ripetizione della stessa frase nel prechorus di Until It’s Gone. Poi l’atmosfera cambia ancora, e a salvare il possibile declino dell’album arriva il featuring con Daron Malakian, acclamato chitarrista degli armeni System Of A Down, che oltre a presentare una linea vocale simile a quelle della band che fu anche di Serj Tankian, influenza anche la base, e lo si capisce dai chiari riferimenti al brano con cui il suo gruppo a cavallo tra un millenio e l’altro sfondò, Chop Suey. Collaborazione nettamente riuscita, miglior pezzo fino ad ora. Uscita di scena Rebellion arriva Mark The Graves, che purtroppo paga un’introduzione fin troppo lunga così come Guilty All The Same, , oltre ad una linea vocale piatta e lenta. Il ritornello vivacizza, poco, il tutto, ma cinque minuti per questa traccia sono veramente troppi. Eccoci quindi ad un altro featuring, che solo a leggerlo promette spettacolo; l’ospite in casa Linkin Park questa volta è Tom Morello. Il pezzo in cui si diletta, Drawbar, però non è altro che una composizione strumentale in cui l’ex chitarrista dei Rage Against The Machine si limita a suonare le stesse cinque-sei note in ripetizione accompagnato dal piano e, in parte, dalla batteria. Come pezzo non è maligno, ma da una collaborazione con un artista del calibro di Tom Morello ci si aspettava qualcosa di più. Le ultime due canzoni, Final Masquerade e A Line In The Sand, ricordano molto i Linkin Park degli anni peggiori, ma alla fine sono comunque dei pezzi passabili, con delle idee che, seppur troppo pop-oriented, sono ben sviluppate e si amalgamano bene con le distorsioni. In conclusione, i Linkin Park hanno sfornato un lavoro di tutto rispetto, ben diverso dalla loro proposta degli ultimi anni e decisamente migliore. I cambiamenti più significativi si hanno nella già citata vena rock/metal di cui quasi tutte le canzoni sono impregne e in una voce di Chester Bannington molto più potente di quanto fosse negli anni scorsi. Per quanto riguarda i pezzi, molto buona la prima metà del disco, in particolare War e Keys To The Kingdom, oltre a Rebellion, mentre nella seconda parte si ha un leggero calo qualitativo e delle sonorità meno ricercate e più catchy, come in Until It’s Gone o in Final Masquerade. Probabilmente i “metallari veri” lo bolleranno ancora come la vergogna del metal, ma questo nuovo album dei Linkin Park presenta qualcosa di nuovo; se il sestetto americano continuerà per questa via, si profila per loro un proseguio di carriera molto interessante. Per ora ci si limita a questo disco, non un capolavoro, di certo una bella sorpresa. Voto 7,5.
Carlo Chiesa

HIT PARADE 30 GIUGNO 2014

1    DOMANI È UN ALTRO FILM – DEAR JACK
2    ULTRAVIOLENCE – LANA DEL REY
3    S.A.L.M.O. DOCUMENTARY COMBO CD+DVD – SALMO    4    THE HUNTING PARTY – LINKIN PARK
5    GHOST STORIES – COLDPLAY
6    DEBORAH IURATO – DEBORAH IURATO
7    MERCURIO – EMIS KILLA
8    L’AMORE COMPORTA – BIAGIO ANTONACCI   
9    SELFIE – MINA
10  KEPLER – GEMITAIZ/MADMAN   

HIT PARADE 30 GIUGNO 1964

1   Amore scusami – John Foster
2   In ginocchio da te – Gianni Morandi
3   Il problema più importante – Adriano Celentano
4   Cin cin – Richard Anthony
5   E’ l’uomo per me – Mina
6   Sei diventata nera – Marcellos Ferial
7   Con te sulla spiaggia – Nico Fidenco
8   La notte è fatta per amare – Neil Sedaka
9   Solo due righe – Peppino Di Capri
10 Credi a me – Bobby Solo

 

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