Forse tutti ci siamo lanciati in qualche speculazione filosofica sulla realtà. Magari davanti a un bel tramonto ci sarà scappata la fatidica domanda: “ma i colori che vedo io, saranno esattamente quelli che vedi tu?” Poi, però, nella vita quotidiana, diamo per scontato che la realtà sia condivisa, e che tutti ne facciamo la stessa esperienza: il rosso è rosso, se stiamo guardando la stessa scena vediamo le stesse cose, la cioccolata è cioccolata. Può essere che non ti piaccia (evento raro) ma rimane cioccolata. La questione, però, è più complessa. La percezione della realtà non è così oggettiva, ma è continuamente interpretata dal nostro cervello.
Mike May divenne cieco all’età di tre anni a causa di un’esplosione. A quarantatré un intervento gli ridiede la vista. Quando gli tolsero le bende ciò che vide non era ciò che lui e tutti gli altri si aspettavano: era un’esplosione di forme e colori senza senso.
I suoi occhi vedevano benissimo, ma il suo cervello non era ancora in grado di decifrare tutti quegli input: doveva imparare a vedere.
Il fatto è che il nostro cervello interpreta i dati in modo attivo, non è un passivo recettore.
Noi percepiamo quel che ci dice il cervello.
Vi riporto qui di seguito citazioni tratte dal libro di David Eagleman, In incognito.
“Nel 1670 Blaise Pascal osservò con religiosa umiltà che . Pascal si accorse che passavamo la nostra vita su una ‘punta minutissima’, sospesa tra la scala inconcepibilmente piccola degli atomi che ci compongono e la scala infinitamente grande delle galassie. Ciò che riusciamo ad esperire è profondamente limitato dalla nostra biologia. Questo non concorda con la tradizionale idea che captiamo passivamente attraverso occhi, orecchie e dita un mondo fisico oggettivamente esistente al di fuori di noi. (…) …il cervello riesce a campionare solo una minuscola parte del mondo fisico esterno. (…)
Chiedetevi che effetto faccia essere nati ciechi. Rifletteteci bene un attimo. Se la vostra ipotesi è ‘Dev’essere come vivere nella più totale oscurità, avere un buco nero al posto della visione, vi sbagliate. Per capire perché, immaginate di essere cani da riporto, come il segugio. Il vostro lungo naso ospita duecento milioni di recettori dell’olfatto. All’esterno, le narici umide attivano e intrappolano le molecole olfattive. Che effetto farà avere il naso penoso e inadeguato di un uomo? Che cosa potranno mai individuare gli uomini quando annusano un refolo d’aria? Percepiscono un’oscurità? Hanno un buco al posto dell’olfatto? Poiché siete umani, sapete che la risposta è no. Non c’è nessun buco, nessuna oscurità e nessuna sensazione di vuoto là dove manca la capacità di percepire l’odore.
Voi accettate la realtà che vi è offerta.” Tutti noi accettiamo la realtà per come ci viene offerta. Chi ha percezioni sinestesiche trova normale gustare un suono, e non capisce come potrebbe essere diversamente. Ecco, questo è incredibile. Ogni cervello è unico nelle sue capacità di percezione. Siamo simili, eppur diversissimi. Condividiamo la predisposizione a vedere, ascoltare, gustare, odorare, sentire col tatto, eppure le nostre esperienze sensoriali possono essere molto diverse.
Si fa presto a dire realtà. Si fa presto a mettere etichette. Io sono incantata dalla varietà infinita delle nostre normalità. La nostra esperienza percettiva ci dice che stiamo vedendo forme in movimento, anche se sappiamo che il movimento non c’è. Il fatto è che quando guardiamo entrano in gioco le nostre aspettative, le nostre esperienze del mondo, le domande e le risposte che abbiamo in testa e attraverso le quali osserviamo la realtà, e tutto questo influisce sulla nostra percezione. “…la prima lezione da apprendere sull’opportunità di fidarsi dei propri sensi è quindi di non fidarsene. Il mero fatto che crediate che una cosa sia vera, il mero fatto che sappiate che è vera, non significa che lo sia davvero. (…) Dopotutto, siamo consapevoli di ben poco di quanto c’è “là fuori”. “Il cervello formula assunti per risparmiare tempo e risorse, e cerca di vedere il mondo solo nella misura in cui gli occorre vederlo.” David Eagleman, In incognito.
La cosa sorprendente è che tutte queste differenze non ci impediscono di sentire insieme, di emozionarci insieme, di dialogare e, addirittura, di capirci. Non smetterò mai di stupirmi di tanta meravigliosa complessità.
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