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Recrudescenze tribali

Piove, qui a Milano. Sono ancora un po’ stordito dal viaggio di ieri: ho guidato sotto la neve e la pioggia durante tutto il tragitto.
L’incontro di ieri, all’ospedale di Desenzano, è stato intenso e gratificante, non smetto di stupirmi delle tante cose che ricevo da Dio. E da voi.
Sto aspettando di vedere uno dei miei editori e mi sono rintanato in un locale a prendere un caffè e a scaricare la posta. L’idea di questo articolo la trovo in un angolo remoto della mia inquietudine. Ormai da tempo apro con circospezione i quotidiani on-line e le mie pagine su Internet. Perché? Ora mi è chiaro: sono sempre più spiazzato dal crescente clima di aggressività che trovo nelle parole. Come fa notare, giustamente, qualche studioso, il nostro è il tempo in cui, in assoluto, abbiamo maggiore possibilità di scrivere, di comunicare. Mai, nella storia della civiltà, l’uomo ha avuto la possibilità di comunicare le proprie idee e di interagire.
E resto stupito dalla quantità di violenza che emerge dalle parole, dalle opinioni. Inevitabilmente schierati e contrapposti: destra contro sinistra, Nord contro Sud, Italia contro Europa e, ahimè, anche nella Chiesa sta prevalendo questa logica mondana: chi idolatra il Papa di adesso, chi lo denigra…
Provo disagio, davvero. E quando tento di ricondurre le discussioni, a volte, lo ammetto, anche cancellando interventi che reputo inutilmente provocatori o fuori contesto, spesso il mio tentativo fallisce. Se non riusciamo a trovare un punto di equilibrio, un approccio necessariamente dialogante e rispettoso, un’apertura reale alla conoscenza e all’approfondimento, cosa, questa, lo ammetto, che costa una certa fatica, siamo destinati all’implosione intellettuale e culturale.
È difficile da ammettere, specialmente nell’’approccio solo laicista della vita, ma, alla fine della fiera, in ciascuno di noi abita un’ombra, quella che chiamiamo “peccato originale”, capace di emergere e di stravolgere ogni cosa, di riportarci alle barbarie.
È questione di sostanza, certo, ma anche di forma. Perché si parla e si dibatte da rabbiosi, alla fine, lo si diventa. O lo si è davvero.
Paolo Curtaz

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