La testimonianza delle donne anziane al lavoro nel dopo guerra- Per non dimenticare
MEZZANE DI CALVISANO – Quando la campana suona a morte, in una piccola comunità dove tutti si conoscono, si rivive la frase del famoso scrittore Ernest Hemingway, ripresa dal poeta John Donne. Non chiederti: “Per chi suona la campana, essa suona anche per te”. Ogni morte di un mezzanese impoverisce il paese. Nell’ultimo periodo nella frazione di Calvisano, hanno lasciato la vita terrena Luigi Galuppini (Miro) 78 anni conosciuto come idraulico; Clemente Treccani 83 anni, per qualche tempo custode dei cimiteri, con altri lavori fra cui quello di esperto affilatore; Luigi Salvi di 88 anni, una vita di lavoro nei campi; Assunta Vezzoli ved. Lesioli 95 anni, un’esistenza tribolata la sua, affrontata con tanta serenità; Pierina Zaniboni ved. Sambinelli, la più anziana del paese a pochi mesi dai 98 anni.
Storie di vita e di lavoro, molto diversi da oggi, così come il modo di vivere, per tutti sarebbe bello potere scrivere qualcosa, utile per la nostra memoria e per camminare verso il domani.

Della Pierina, una breve storia di vita, era posta nel libro “S’Imparava a Lavorare in Silenzio” stampato dalla Cisl Pensionati di Brescia, e presentato nel novembre 2007 a Mezzane.
Scritto da Nadia Ridolfi, Gippo Comini e Mario Clerici, riporta 55 testimonianze di donne bresciane. Esse raccontavano il lavoro svolto dagli anni 1945 al 1960. Fra esse anche Delfina Tonini Filippini, nata nel 1925 e deceduta nell’agosto 2015 e Andreina Mazza Misserini, quasi novantenne, tutt’ora in vita e in buona salute, di cui New Entry aveva scritto nel giugno del 2021. Racconti i loro, che riportano ai sacrifici e difficoltà del vivere negli anni del dopo guerra. Affrontati nella povertà con impegno e dedizione, avvolti nella serenità del vivere e speranza del futuro. Le stesse abitazioni erano molto diverse da ora, servizi igienici di frequente era posti nel cortile, il bagno era svolto nel mastello. Lavori e situazioni oggi impensabili, ricchi di memoria da cui apprendere i valori sociali, l’impegno per la giustizia sociale, la solidarietà, la pace, oggi frantumata da una guerra assurda ed incomprensibile in Ucraina.
Delfina Tonini e Piera Zaniboni Servizio igienico – anni 50 nella nostra campagna
Quella di Piera Zaniboni è stata una lunga vita di lavoro, fin dai 12/13 anni (1937), come quasi tutti in quel periodo, in Filanda a Carpenedolo insieme a circa altre 50 donne e pochi uomini. Andava a piedi, più tardi veniva acquistata una bicicletta d’uomo, dove saliva insieme alla sorella. Il lavoro consisteva nel togliere i fili (con macchinari elettrici) dai bachi di seta, controllare la sete che fosse pulita, attraverso bacinelle. L’allevamento di bozzoli era uno dei prodotti più diffusi un tutto il paese e nei paesi limitrofi. In ogni cascina agricola, vi era un allevamento consistente di bachi da seta, in minore quantità anche in case senza terreni, ma con qualche pianta di gelsi. Il tutto per arrotondare i bisogni del vivere. Risulta che a Carpenedolo vi fossero 61.000 piante di gelsi. Il padre lavorava circa 3 ettari di terra, con alcuni capi di bovini maschi, ed una mucca, che insieme al maiale e qualche gallina,oltre all’orto, consentirono in quel periodo di vivere di una povertà ricca, quella di avere almeno da mangiare. Il padre da militare di leva fu carabiniere, richiamato nel periodo 1938/45 a lavorare nella ferrovia, a pochi chilometri di distanza da casa, la cosiddetta “toth”. Così lei doveva sopperire ai lavori agricoli, dopo il lavoro in fabbrica, insieme alla madre e alle sorelle più grandi. A 27 anni si sposava, trasferendosi a Mezzane di Calvisano.
Qui con il marito ha gestito una piccola azienda agricola, di tre ettari, con qualche mucca.
Fino a qualche anno fa, prima di essere alla Casa di Riposo a Carpenedolo, si gestiva da sola, nell’abitazione di Via Cucca, dopo la morte del marito Adamo nel 1997. Quasi analoga la storia di vita raccontata nel libro citato da Delfina Tonini, nata il 27.09.1925 a Caprino Veronese (VR) è deceduta a Mezzane nell’agosto 2015. A quattro anni con la famiglia, il Padre era mandriano, si trasferiva da Caprino a Malpaga di Calvisano, frequentando la locale scuola fino alla quarta elementare. Per proseguire bisognava andare a Ghedi, distante 7/8 km ed inoltre era necessaria la sua attività in casa: altri quattro fratelli, i genitori ed uno zio sordomuto. Avrebbe desiderato svolgere l’attività di sarta e si recò alcuni giorni per imparare tale lavoro. Ma subito il Padrone invitava suo Padre a richiedere che la figlia, quasi quindicenne, lavorasse alla sue dipendenze, anche nei campi. L’impatto non fu semplice, tanto più che il lavoro dei campi era pesante, richiedeva impegno e sacrificio. Pensare adesso a tale lavoro, sembra quasi un’impresa impossibile, specialmente alle donne. Non mancarono aspetti positivi, il lavoro era, si può dire in casa, abitando nella cascina del proprietario, inoltre il lavoro dei campi gli piaceva e questo è stato molto importante. Lei guidava quasi sempre il cavallo con il carretto con due ruote grandi, oppure con due ruote piccole (tumarel in dialetto), mentre con i buoi trainava il carro a quattro ruote dove si caricava il fieno e i covoni. Si arava ancora senza trattori, solo il trebbiare il frumento e il granoturco avveniva con i macchinari. Le mansioni erano quasi come quelle degli uomini, tranne il tagliare l’erba con la falce. Il resto come caricare il fieno, i covoni, il fogliame, il letame (quest’ultimo a piedi scalzi nella buca del letame), tagliare le cime del granoturco, sistemate il fieno sul carro o sul fienile. L’orario di lavoro era 7 ore d’inverno, 9/10 nel periodo estivo. La paga si aggirava attorno ai 50 centesimi ogni ora, meno di quella degli uomini, si riposava la domenica e le festività, ovviamente non pagate, non esistevano ferie. Le rivendicazioni non avevano ancora trovato il modo di esplicarsi, per questo il Libro in questione dice: ”S’Imparava a lavorare in silenzio”. Il tempo libero, dopo il lavoro era quello di rimboccarsi le maniche ed aiutare la Mamma in casa, alla sera ci si trovava in “stalla” dove i più anziani tenevano banco con i loro racconti. Alcuni giocavano a carta, altri i più giovani entravano ed uscivano, per scappare alla vista dei genitori. Tale “filos” oltre a regalarci del caldo, portava risparmio energetico alle famiglie, consumando meno legna”. Da giovane qualche volta andava al cinema, dovendo percorre una decina di km. a piedi, rare volte in bicicletta. Si andava alla S. Messa, vi erano delle feste sull’aia al suono di una specie di pianoforte chiamato “ Vertical”. Erano gli anni dal 1940 al 1950, con difficili situazioni familiari, compreso la guerra, che aveva allontanato il giovane marito, seppure per un breve periodo. Sposatasi nel 1947 con Angelo Filippini, tre i figli nati dal matrimonio, per alcuni anni si dedicò solo ai lavori domestici, essendo andata a vivere nella famiglia del Marito. Così dalla propria famiglia di otto persone, ne trovò un’altra di dieci.
Marino Marini

