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Quando pensi di sapere ciò che non sai

E’ una questione psicologica piuttosto interessante. Negli anni ’60 un gruppo di psicologi fece il seguente esperimento: a dei volontari furono presentate alcune cause civili ipotetiche dando a tutti alcune informazioni di base. Successivamente furono divisi in tre sottogruppi: il primo ascoltò le motivazioni argomentate dall’avvocato dell’accusa, il secondo ascoltò quelle della difesa, il terzo ascoltò entrambe le argomentazioni.
L’esperimento era chiaro a tutti, dunque i primi due sottogruppi, quelli “di parte”, sapevano di avere informazioni parziali. Cosa accadde? Chi aveva ascoltato la versione parziale era saltato più in fretta e con maggior sicurezza alle conclusioni, si era formato un giudizio pur sapendo di non aver ascoltato entrambe le campane. L’aspetto interessante dell’esperimento è anche il passo successivo: quando le persone dei gruppi “di parte” ascoltarono l’altra versione dei fatti, cambiarono marginalmente la loro prima opinione, ma la loro parzialità rimase.
Lo studio dimostrò quindi che le persone non solo sono portate a saltare alle conclusioni dopo aver sentito una sola versione dei fatti, ma è assai probabile che continuino a farlo anche quando hanno a disposizione informazioni aggiuntive che suggerirebbero una conclusione differente.
(cit. Le Scienze, 4 maggio 2012)

Ciò di cui non ci rendiamo conto è che il nostro cervello, a partire da alcune informazioni, a volte anche molto superficiali (una sbirciatina a Wikipedia, un occhio alla prima voce di Google, il commento del vicino di casa che è sempre così informato…) costruisce conclusioni di cui ci sentiamo sicuri, che diamo per vere e oggettive. Quelle diventano le nostre storie, che crediamo perfettamente logiche, razionali. Diventano le nostre verità. L’unico antidoto a queste distorsioni della realtà è ascoltare storie diverse, dialogare davvero cercando di capire i punti di vista degli altri, non cercando di convincere l’interlocutore delle proprie ragioni. E poi leggere, studiare, anche campane lontane, opposte. Ovviamente non si possono approfondire tutti gli argomenti, ma quelli che più ci stanno a cuore, magari sì. E per gli altri, rimanere aperti. Sapendo di non sapere, lasciando spiragli ai dubbi, alle domande.
La chiusura e la sicurezza rigida sono quasi sempre segnali di irrazionalità più che di approfondita riflessione. E tutti cadiamo nell’errore, in alcune occasioni. Tutti diventiamo irrazionali, pensando di argomentare le nostre posizioni con assoluta razionalità. I click di chiusura interiore sono campanelli d’allarme che richiedono pausa di riflessione. Non mi sono mai pentito di averli ascoltati.
Gianluca Boffetti

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