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NONNA, MI RACCONTI COME GIOCAVI?

Eccoci qua, ben ritrovati giovani.
Siamo quasi alla fine di un altro anno, tra alti e bassi, anche la scuola ha fatto un gran percorso. Ora con trepida attesa aspettiamo tutti, grandi e piccoli le sospirate vacanze natalizie.
Ci auguriamo che trascorrano lentamente, serene e piene di grandi soddisfazioni. Si dà un taglio alle interrogazioni, ai tantissimi compiti quotidiani, ci si prepara magari per un viaggio con mamma e papà e poi l’attesa dei regali che sotto le feste non mancano mai. In questa era fortemente digitale, i regali per i giovani e giovanissimi, sono molto elaborati e tecnicamente sofisticati, hanno bisogno di modalità d’uso e ottima conoscenza informatica. Ma chi ha la grande fortuna di avere ancora i nonni, può fare una semplicissima domanda chiedendo di come  e con cosa, anni fa, loro giocavano.

Sicuramente, sentendo raccontare il modo come giocavano e i giocattoli che usavano, lo stupore e la meraviglia avrà la meglio. Ho fatto una lunga chiacchierata con nonna Luisella P.  che con i suoi 76 anni, portati benissimo, mi ha raccontato la sua infanzia e poi adolescenza:
“Vengo da un paese di alta montagna, quattro sorelle e due fratelli, con pochissimi anni di differenza. Umili origini: papà boscaiolo, mamma casalinga… (all’epoca le donne facevano le mamme e le mogli). I regali erano un miraggio, ma sotto Natale, c’era sempre un piccolo pensiero per noi.
Per le femmine la bambola di pezza che la mamma cuciva a mano con ago e filo e per i maschi, dato che il nonno Giuseppe era un bravissimo falegname, il cavallino a dondolo di legno e il carrettino con le ruote da tirare, un fratello saliva sopra e l’altro con grande forza lo scarrozzava per i vicoli. Si aveva poco ma ci divertivamo tanto, i compiti di scuola erano pochissimi, avevamo un libro ed un quaderno e dopo le elementari si andava a lavorare nei campi”.

Nonna Luisella P.  fa anche una considerazione: mi chiede come mai i suoi giovani nipoti hanno tantissimi giocattoli, scatole e scatoloni pieni, ma dopo averci giocato una volta li mettono via.
A lei dispiace molto vederli tutto il giorno dopo il ritorno da scuola, incollati al cellulare. Forse pensa che data l’età fa fatica a comprendere, ma gli sembrano assenti e privi di inventiva, rispetto a quando era giovane lei. Anche nonno Francesco G. che agita il suo bastone dove si appoggia per camminare, mi racconta dei suoi trascorsi di fanciullo. Lui ha 81 primavere ed ha visto molta gioventù passare e modificare modi e maniere dei giochi dei bambini. Ha nove nipoti e tre pronipoti. Lo raggiungo nella sua enorme casa di campagna, intorno ad un lungo tavolo di rovere, anch’esso datato molti anni, con intorno due delle figlie maggiori, con i figli e nipotini molto piccoli. Uno spaccato di generazioni, che si tramandano usi e costumi.

Quando inizio a chiedere se si ricorda la sua adolescenza, agita ancora di più il suo bastone e come un fiume in piena si mette più che a raccontare a ricordare. Quei periodi di un dopo guerra devastante, mentre figlie nipoti e pronipoti sono degli spettatori attenti e curiosi: “Essere bambini quando una città o paese è distrutto dalle bombe, dove vige la miseria, non lascia bei ricordi. Eppure la voglia di ricominciare e ricostruire con la complicità dei genitori, anche senza molte risorse, ci invogliava a fare gruppo. Si giocava in tantissimi, nei cortili, anche tra le macerie delle grandi case distrutte. Con i carboni rimasti nei camini, si disegnavano grandi quadrati. Con un pezzo di mattone, facile da reperire visti i cumuli di macerie intorno, si saltava fino a fare un punteggio altissimo, passando più volte dentro i quadrati. I maschi si piegavano su se stessi, facendo un ponte, dove tutti i partecipanti dovevano saltarlo velocemente.
Si faceva gruppo e si stava insieme con gli amici, come in famiglia, si divideva quel pochissimo che si aveva e c’era molta complicità e rispetto”.

Sicuramente di tempo ne è passato, ma quello che fa un po’ strano è che questo tempo ha modificato radicalmente non solo il modo di giocare, ma soprattutto il modo di pensare: le affinità, l’inclusione dei giovani nell’importanza del gioco.
Prima si giocava per passare il tempo, ritrovarsi e crescere in una maniera naturale e costruttiva, oggigiorno molti giochi si fanno e si rincorrono per guadagno, come giocare con un pallone.
Ci si proietta sempre per poter essere un calciatore famoso, quindi la palla non è amica di momenti da godere, ma di tempo investito per un futuro guadagno.
Cambiano i tempi, cambiano i giochi, ma dobbiamo fare in modo che in ognuno di noi, grandi e piccini, rimanga dentro sempre un bambino con una grande voglia di giocare.

Vi lascio una poesia in tema.
E il mondo racconta…
E il mondo racconta di un bimbo di ieri,
a passi lenti andava, ma sicuri.
Si perdeva in mille e più domande
per avere mille e più risposte.
Cercava senza sosta di trovare
i come ed i perché…
E il mondo racconta di un bimbo di oggi,
a lunghi passi va ma insicuri.
Lui non chiede
perché crede di sapere tutto,
lui non chiede perché crede
di aver trovato già la risposta,
ai suoi come ed perché.
E il mondo poi racconterà
di un bimbo del domani:
ma forse sarà lui a non voler essere raccontato,
perché come va il mondo, forse,
non ci sarà niente da voler raccontare….
(SANDY AMBROSIO)

CORRIAMO A GIOCARE
(Poesia della nonna e dei “vecchi” giochi)

Corri mia amica, andiamo a giocare,
disegneremo i quadretti vicino al muretto,
oppure saltiamo alla corda intrecciata,
sino alla sera inoltrata.
Corri mio amico, andiamo a giocare,
a nascondino o palla perduta,
poi sul carretto di legno fatto dal nonno, gireremo per strade, stradine nel borgo.
Amici corriamo, appuntamento alla fontana, giocheremo a scavalcare i compagni
senza pretesa e senza danno
e quando la mamma ci chiama
a mangiare tutti andiamo.
Mangiamo pane con zucchero e olio
o marmellata dei frutti dal  bosco donati,
pensando al domani di nuovo a giocare
e questa volta, a saltare e nei prati poi andare.

Sandy Ambrosio.

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