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METALLICA – RIDE THE LIGHTNING

Esistono album che vengono considerati capolavori al momento della loro uscita, ma successivamente vengono spediti al dimenticatoio, altri che da sempre sono considerati tali, e che tutt’ora sono conosciuti e ‘osannati’, e infine ci sono quei dischi criticati al momento della messa in commercio e riscoperti dopo anni come, appunto, capolavori. 

E’ il caso di Ride The Lightning, secondo album della band statunitense Metallica, considerata la migliore e la più influente thrash metal band di tutti i tempi. Termine, diciamocelo, meritatissimo, in quanto insieme a Megadeth, Slayer e Anthrax hanno indicato la via ad almeno il 65% dei gruppi che si sono formati nei decenni seguenti, prima di intraprendere nuovi orizzonti musicali (heavy metal per i Metallica, Groove Metal per gli Anthrax). 

Ma torniamo al disco; all’uscita, nel  1984, fu criticato soprattutto per la maturità dei testi rispetto al lavoro precedente, Kill ‘Em All,  e per il sound meno cattivo, più melodico. Caratteristica che si nota già dal brano d’apertura, Fight Fire With Fire, pezzo velocissimo che segna il passaggio dalle sonorità dell’opera prima e di questa, con le urla del vocalist e chitarrista ritmico James Hetfield che si tramutano in un cantato spesso pulito. Tutto sommato l’assolo di Kirk Hammett non è all’altezza del brano. Proseguendo, ci ritroviamo nelle orecchie la title track. Dopo una breve introduzione, Hetfield inscena un riff non molto rapido ma validissimo, fino ad arrivare ad un chorus che è orecchiabile già al primo ascolto che introduce a un assolo di Hammett, questa volta più “nel pezzo” rispetto alla prima traccia. La prima cosa che si può notare nel terzo brano, For Whom The Bell Tolls, uno dei più conosciuti dei Four Horsemen, è un uso completamente rivoluzionario del basso da parte di Cliff Burton, che propone un riff che, insieme alla batteria di Lars Ulrich, fa entrare perfettamente nella ritmica del pezzo, che vagamente ricorda gli AC/DC. Sbagliato. All’entrata di Hammett cambia quasi inavvertitamente il ritmo del brano, con Hetfield che suona un riff perfetto, così come il suo cantato in questo brano. Un pezzo melodicamente diretto (non a caso, tutt’ora è  uno dei cavalli di battaglia  nei live), ma il cui testo è ispirato al libro Per Chi Suona La Campana di Hemingway. Nel quarto brano, Fade To Black, si parla invece di suicidio. Dopo tre tracce di thrash puro, nelle orecchie dell’ascoltatore risuona un’intro di chitarra acustica, che fece storcere il naso a molti.Quindi strofa, ritornello, strofa, ritornello e, quando ormai ci avviamo verso un’interminabile ballata, ecco il colpo di Hammett. Assolo che sfuma in un finale di una canzone che finora supera le altre tre, a mio parere. Trapped Under Ice è invece, sempre secondo me, il brano più debole degli otto, molto veloce, è caratterizzato da un riff di Hetfield abbastanza banale, un ritornello quantomeno orecchiabile, e un assolo di Hammett, che, per quanto sia veloce, manda in confusione l’ascoltatore per la presenza di suoni dissonanti. Escape è una canzone particolare, odiata dagli stessi Metallica e suonata solo una volta nei numerosissimi live degli americani. E non hanno tutti i torti, perché questa sembra una traccia cosiddetta “di riempimento”,  molto lenta, con un riff  ripetuto alla morte e la solita cascata di note di Hammett. Il settimo pezzo, Creeping Death, ha forse il miglior riff dell’album e una linea di basso tra le migliori dell’era thrash dei ‘Tallica.  La strofa e il ritornello sono orecchiabili, il bridge e il solito (ma questa volta da brividi) assolo di Hammett sono la ciliegina sulla torta di uno dei brani più riusciti della band. Ma è l’ultima traccia, The Call Of Chtulhu, a decretare questo disco un capolavoro. Questa strumentale di nove minuti (mai vista una strumentale, peraltro così lunga , nel thrash metal prima d’ora) si ispira all’omonima opera di Lovecraft.

L’arpeggio iniziale  prepara le nostre orecchie all’esplosione, a intrecci tra il basso di Burton, che come in For Whom The Bell Tolls assume il compito di solista, e la chitarra di Hammett, mentre Hetfield e Ulrich accompagnano il tutto con un riff e una linea perfetta di batteria. La classica canzone da 10.

Personalmente, ritengo questo album il migliore dei Metallica dopo …And Justice For All (1988), in quanto Cliff Burton utilizza il basso in un modo totalmente rivoluzionario e innovativo, Hammett è all’apice della sua carriera (assoli di questo calibro si rivedranno solo nei successivi due lavori Master Of Puppets e, appunto, …And Justice For All), Ulrich non è mai banale alla batteria e Hetfield riesce a “sparare” riff a 185 bpm e contemporaneamente cantare mostrando una voce già matura, nonostante abbia solo vent’anni.

Carlo Chiesa

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