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L’ULTIMO SORRISO

Quando si comincia a sentire nell’aria l’atmosfera del Natale, provo dentro me forti emozioni contrastanti, di gioia e grande amarezza, il 16 dicembre 2016 è venuto a mancare mio padre e da allora le festività Natalizie hanno assunto un significato molto particolare. Certo, il posto di capotavola che lui occupava non è rimasto vuoto… ci sono 2 splendide nipotine sedute lì, al suo posto per il cenone di Natale, ma la sua straordinaria personalità non può essere colmata anche se il suo ricordo dimorerà sempre nei nostri cuori. Il mio papy si chiamava Attilio, piccolo di statura ma al suo interno nascondeva un autentico vulcano, pronto a sputare lava contro chiunque andasse contro i suoi principi od offendesse il suo modo di pensare, non aveva vergogna neanche del diavolo, posso affermare che era esattamente il mio contrario.
Diversi anni fa io e lui, partecipammo ad un convegno il cui relatore era un luminare nell’alimentazione delle vacche da latte, suo unico difetto è che si esprimeva con una incomprensibile terminologia tecnica. Alla fine del discorso chiese all’immensa platea se c’erano domande, mio padre si alzò: “Mi scusi professore, può darsi che io sia una bestia, ma non ho capito niente di quel che ha detto”. Io diventai rosso dalla vergogna ed invece la folla applaudì mio padre, praticamente nemmeno la platea aveva capito qualcosa ma nessuno aveva avuto il coraggio di ammetterlo.
Gli ultimi 2 anni di vita di papà Attilio detto “gremegnò “ perché nessuno riusciva ad estirpare o scalfire la sua volontà, sono stati letteralmente un inferno. Quindici anni prima la sua salute era stata fortemente minata da un infarto poi nel 2010 accadde un avvenimento (che probabilmente racconterò in futuro), talmente tragico e terribile che il suo cuore ne risentì fino alla fine dei suoi giorni. Io e lui eravamo gli addetti in stalla, mio fratello e suo figlio si occupavano dei campi: era così da sempre e logicamente fra noi due era nata una straordinaria simbiosi e complicità… chissà, forse per questo aveva nei miei confronti un amore smisurato che francamente non meritavo. La mungitura era per lui un rituale irrinunciabile, doveva sempre essere effettuata ad opera d’arte durante la quale approfittava per pettinare la coda alle nostre vacche che lui trattava come fossero figlie. Fino all’età di 85 anni, fu sempre presente in sala di mungitura (anche se il cardiologo gli aveva vietato l’attività fisica), il cuore era sempre più debole e faceva fatica a far circolare il sangue fino all’estremità degli arti al punto che il piede sinistro, non adeguatamente irrorato, cominciò a cambiare colore, si imputridiva. Iniziò così a camminare con le stampelle finché il piede si perforò, si formò un buco talmente grande attraverso il quale si poteva vedere il pavimento. Era atroce il dolore che doveva sopportare, ogni giorno gli applicavamo una pomata, gli mettevamo bende nuove e lui stringeva i denti, reprimeva le urla. Come potesse sopportare un simile dolore, io non lo so, finché il medico gli prescrisse delle capsule di morfina. Queste però gli procuravano frequenti allucinazioni, si alzava di notte, buttava per aria la camera oppure usciva a zappare nell’orto; diceva cose senza senso…

E’ stato terribile vedere una persona della sua saggezza perdere il senno; certo, era colpa delle altissime dosi di analgesico che gli venivano somministrate, comunque, non è stato facile far entrare da un orecchio ed uscire dall’altro le sue terribili invettive… sembrava che il suo cervello fosse stato impossessato da chissà quale malefica creatura, non era più lui.
La cancrena all’arto sinistro cominciò a salire, fu ricoverato… i medici (due in particolare), parlarono a noi familiari, uno ci disse che per salvargli la vita la gamba sinistra doveva essere amputata al più presto, l’altro invece replicava che il cuore era talmente debole che sarebbe morto durante l’intervento. Finalmente stabilirono di operarlo anche se non era possibile farlo in anestesia totale, le sue condizioni di salute non lo permettevano, gli avrebbero tagliato la gamba tramite l’epidurale, a mente sveglia.
Vi lascio immaginare quando comunicammo questa cosa a nostro padre; piangeva, piangeva piangeva. Pensare in che stato era, sto male ancora adesso però quando riuscì a calmarsi disse con voce decisa: “D’altronde se non c’è altra alternativa la tagliamo, magari dopo riesco a trovare un po’ di sollievo”.

Mio papà è sempre stato un leone. Dopo un paio di giorni, tutto era pronto per l’intervento… mia mamma rimasta a casa aveva già preparato il più bel abito da mettere a mio padre nel caso non avesse superato l’operazione. Entrò in sala operatoria con sguardo fiero e deciso, da condottiero quale lui era sempre stato; non molto tempo dopo uscì su un lettino, la gamba sinistra era tutta piena di jodio ma ce l’aveva ancora, un’infermiera ci spiegò che avevano dovuto lasciar libera la sala operatoria ad un giovanotto coinvolto in un incidente stradale così il taglio della gamba fu rimandato alla mattina successiva. Mio padre era viola dalla rabbia, tutto ancora da rifare, sparava bestemmie pesanti e taglienti come un machete, d’altronde, mettiamoci nei suoi panni. Il mattino successivo rientra in sala operatoria e stavolta vi rimase un sacco di tempo, quando usì la gamba sinistra non c’era più. Il fatto che avesse superato l’intervento era quasi un miracolo, ci fissò con quei suoi occhi color grigio tempesta (che già dicevano tutto sul suo temperamento), con una fierezza ed un orgoglio indescrivibili, perfettamente cosciente ci disse che tutto sommato il dolore era sopportabile, ma la cosa che gli faceva veramente male era l’unghia incarnita del piede sinistro; — scusa papà, ma com’è possibile che ti faccia male l’unghia? Non ce l’hai più l’arto !! — Ti dico che mi sento pungere il dito, fa qualcosa ! — Va bene, mi faccio dare la gamba e la porto da un’estetista! — Porcocane, quant sa diss che Giordano l’è propes una bestio’ —.

Dopo 15 giorni fu trasferito per la convalescenza all’ospedale di Pontevico, Il Gabbiano (che io vorrei ringraziare ancora oggi non solo per le cure ma lo straordinario affetto dimostrato a mio padre ed a noi familiari). Due mesi dopo l’intervento tornò a casa con la gamba perfettamente cicatrizzata, non sentiva più alcun dolore (anche se paradossalmente l’unghia incarnita lo infastidiva ancora), riusciva a spingere da solo la carrozzina. Smesso con la morfina, aveva la mente lucida, si mise subito al lavoro sistemando tutti i conti dell’azienda e nonostante prendesse una ventina di pastiglie al giorno per contrastare tutti i suoi acciacchi, l’appetito non gli mancava mai.
Arriviamo al 15 novembre, da quaranta giorni il papy era tornato dall’ospedale, cominciò a sentirsi sempre più debole finché il nost e lì cominciò il suo ultimo mese di vita. Come suo compagno di stanza ebbe l’ex medico condotto di Gottolengo: erano della stessa classe, anche lui con problemi al cuore, si era fatto portare da suo figlio la valigetta che usava per le visite a domicilio. Ogni giorno si autoascoltava il cuore, non solo, visitava sempre anche mio padre e per questo le infermiere ed i medici lo sgridavano in continuazione ma era più forte di lui, aveva adottato mio padre come suo paziente.
Per lui era una missione da compiere fino all’ultimo istante. Le condizioni di mio padre nei suoi ultimi 20 giorni di vita, si erano ulteriormente aggravate, il cuore sempre più debole e così noi familiari ci alternavamo per stare sempre con lui, giorno e notte. Per me rimanere così tanto in ospedale era pesantissimo. Quando avevo 9 anni sono stato ricoverato per 5 mesi e da allora ho sviluppato una specie di allergia per l’ambiente ospedaliero. Vedendo la cosa dal lato positivo, posso affermare che ho avuto modo di conoscere molte persone e condividere molte storie di vita, ha sicuramente arricchito la mia personalità. Arriviamo poi al 15 dicembre 2016, l’ultimo giorno in cui ho visto mio padre, era debole, respirava aiutato dall’ossigeno, volle sapere come andavano le cose in azienda poi mi ha preso una mano e guardandomi negli occhi mi ha chiesto: “Ascolta Giordano, rispondi sinceramente, stavolta esco dall’ospedale con i piedi in avanti??”, “No papà, è impossibile, ti hanno tagliato una gamba, al massimo puoi uscire con un piede in avanti!”.

Mi guardò con la faccia stralunata, gli occhi spalancati e disse forte: “Ta se a stupit”, poi cominciò a ridere, a ridere forte e girandosi verso il medico di Gottolengo, suo compagno di stanza: “Me fiol Giordano l’è semper stat un deficiente“, poi rideva ancora. In quel momento arrivò mia sorella a darmi il cambio, mi chiese il perché di quella risata, gli dissi solo che il papy era di buon umore, poi lo salutai: “Ciao papà, ci vediamo dopodomani, do’ un bacino alle tue gnare (le vacche del nostro allevamento )”. L’indomani, 16 dicembre, erano le tre del pomeriggio, mi telefona mia sorella per dirmi che nostro padre era partito per il lungo viaggio, sembrava più forte degli altri giorni, si era tolto la maschera dell’ossigeno, aveva mangiato da solo, sembrava molto tranquillo, poi si è svegliato, ha fissato mia sorella per parecchi secondi e se ne è andato. Ero convinto che avremmo passato assieme ancora un Natale, per tutti noi familiari è stata una terribile mazzata, la cosa che mi dà sollievo, è che l’ultima volta che l’ho visto, lui sorrideva, è stato il suo ultimo grande sorriso.

Giordano

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