Si sarebbero sfogliate le ore come quelle di un mazzo mescolato di fretta e senza interesse. Era il primo capodanno nella sua nuova casa, finalmente. Certo mancavano ancora delle sedie, qualche scaffalatura, poche tende, ma adesso somigliava a una casa abitata e, soprattutto, alla sua casa.
Peccato che fosse solo piena di sé, delle sue cose, dei suoi libri e dei suoi film posti in ordine maniacale, dei suoi cibi biologici, delle sue diapositive troppo stanche per essere proiettate, dei suoi spartiti vecchi quanto basta per essere suonati guardandoci attraverso.
Allora Paolo decise di uscire, senza macchina: è strano godersi la città alle 5 del pomeriggio la sera di S.Silvestro, gli vennero in mente strofe confuse di una poesia di Lorca che la sua insegnante di Spagnolo ripeteva spesso, con malinconia e occhi lucidi a stemperare le parole.
I negozi erano vuoti, le luci sembravano finalmente brillare solo per se stesse. Rumore di passi, odore per le strade di cibi succulenti e dai coiffeuer gli ultimi spruzzi di lacca per voler immortalare movimenti indimenticabili di un anno passato troppo frettolosamente.
Comunque tra pochi giorni sarebbe andato via, lontano, finalmente una classe tutta sua, anche se solo per 6 mesi, anche se in un paese alpino lontano e sempre con la neve: a lui piaceva, bastava essere lontano, bastava essere.
La testa si dimenava in pensieri aggrovigliati, ma i piedi no, non erano confusi. Andavano certi, dritti nei luoghi dei suoi anni, senza che lui apparentemente lo volesse ma non faceva niente per impedirlo.
Allora passò davanti all’ospizio dove anni prima per pochi mesi andava regolarmente a trovare le persone anziane e le venne in mente Rosaria, la signora che non camminava più, ma con le parole sapeva andare dove nessun aereo lo avrebbe mai portato. Poi il lavoro, i viaggi per il dottorato, gli avevano fatto perdere le tracce e quando la ritrovò era troppo tardi.
Ancora camminava e Lucca gli sembrava non più scura e silenziosa, quasi severa, no, le sembrava una successione di teatri che la sua mente incollava su un unico fondale, quello degli amati. Si ricordò della sua vecchia Corsa e di un viaggio verso Amalfi insieme a Giuseppe, Khristine e Giulia: appunto il 31 dicembre: quando suonò la mezzanotte e il mondo intero stappava bottiglie e speranze, loro erano in coda sul lungomare e ridevano, senza preoccupazioni, senza alcuna fretta a nutrirsi degli istanti insieme.
Altre volte il tempo invece lo avrebbe voluto accelerare, passando davanti all’anfiteatro pensò alla montagna e a quando presero tutti insieme una baita, ma Francesca aveva la febbre e l’attaccò a tutti. Provarono comunque a fare il pane nel forno a legna, e sapeva di pane, per loro era già molto. Bastava così poco. Brindarono imbacuccati in enormi sciarpe colorate, fra aspirine, ad aspettare lo sciogliersi della neve per tornare a valle. Il fuoco raccontava segreti e desideri che solo col tempo avrebbe capito.
Sembrava un filmino in technicolor senza possibilità di riavvolgere il nastro. I passi lo portarono sulle mura, dove si vede l’intera città e le storie dentro le case sembrano grandi infinite, e i palazzi solo piccoli segnalibri. E si ricordò la frontiera a Lisbona, l’apertura del cineforum in centro una volta la settimana in tre gatti a vedere pellicole in Bianco e nero di registi dai nomi impronunciabili, la messa in scena per i ragazzi della casa famiglia dove faceva servizio civile: gli prese una profonda nostalgia per ciò che pensava sarebbe stato.
Adesso loro non ci sono più. Khristine è tornata in una città facilmente confondibile del New Jersey, Giuseppe si è dileguato soffocato da sè stesso, Francesca ha vinto la sua battaglia con la vita ma non ha più voglia di giocare. Forse andava compresa prima, bastava un attimo prima, lei come tutti gli altri, forse ci siamo troppo trascurati nel profondo del tempo, dimenticandoci di andare oltre la sua scorza.
E Franca ha una figlia con una figlia, Pietro è tornato in Romania dalla figlia, ma non sta più con la moglie, Angela e Massimo si sono sposati, presto saranno in tre, di Giulia nessuna notizia: le sue notti ora sono piene e lei è autrice dei propri giorni. Adesso che Paolo ha la sua casa e potrebbe ospitare tutti, adesso che è grande e non ha bisogno di contare i soldi per farsi una birra, adesso non c’è più nessuno.
Nessuno. Solo una voragine che dall’alto di questa città sola si apre dentro a rimuovere nomi come fossero strati cristallizzati di una primavera congelata.
Si apre il cielo sulla testa, magari si possono ancora cercare numeri, fili, trame, o solo guardarli in altro modo. Magari si scongelano gli autunni delle incomprensioni e proprio oltre, oltre le colline, c’è ancora il mare che batte sulla spiaggia, a ricordare foreste vergini e odori antichi. Si commuove Paolo, i botti sono lancinanti spari che trafiggono il suo parlare con se stesso e con i compagni di tanti ricordi. Ma si sente vivo e brinda con le lacrime a un ritrovato sorriso, leggermente inconsapevole e forse per questo più che perfetto, certo che qualcosa comunque sia, accadrà.
Basta esserci.
Paolo