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Lettera al Direttore

Carissimo Gianluca, ti vedo passare, correre, mente zuppa di pensieri, di mille e mille cose da far combaciare, rincorrere, mettere in relazione.
Io accanto,in corsa, ciascuno verso il proprio destino; a profusione i volti che vestono le vie, immersi, solitari, sfuggenti. Nel tramestio di giorni uguali e diversi sovvengono emozioni tanto celeri da generare armonie limpide e contorte, esigenti. Meriggio ventoso porta riflessione, grembo maturo entro cui chinare il capo. Vien per celia o per dispetto da pensare al “dopo di noi” per coloro che colti da fragilità si trovano, nel tempo, a doversi imbattere e scontrarsi coi cavilli di leggi contorte.
Tanto si parla d’inclusione, molteplici i progetti, a livello locale e nazionale, mirati all’autonomia ed al benessere del disabile. Nel cuore, sento, amarezza e tedio, pensiero che muta forma e colore, si fa disattento, sfuggente, lacerante.
Come genitori si cerca di “costruire ponti”, di dare un accenno alla via, di scegliere, sondare, appurare, considerare, valorizzare.
Ad un certo punto, ti ritrovi, faccia a faccia con te stesso, a rimirare l’ombra tua farsi fitta nello specchio della memoria; riassapori passi, incertezze, gioie, conquiste, solitudini, tenerezze, dolori aspri. WA bruciapelo ti chiedi se la vita, la stessa in cui hai creduto e confidato, per la quale ti sei battuta a denti stretti, dovesse, in un certo momento, per un motivo sconosciuto, avere risvolti repentini, eccentrici, come folgore colpire al petto quale il senso dell’andare?
Il viaggio come scopo, il cammino come meta, sempre andare, sino alla fine, sin dove la luce nasce, sin dove l’ombra depone l’ascia.
E se, mi chiedo, con orrore, sorella morte, dovesse bussare alle botole del nostro mondo,chiedendo il sacrificio e l’offerta dell’amata quale lo stupore, spavento, orrore nel guardare oltre la linea che separa il nostro mondo dall’eterno?
Dopo la rabbia, l’urlo, il grido di certo silenzio fondo, tanto fondo da destare sospetto.
In quel silenzio, forse, di certo, la luce della fede, convinzione che nulla è perduto, ha solo cambiato forma e sostanza. Basta, forse, voltare lo sguardo per rivedere occhi di cielo? Basta tendere la mano per risentirne il calore? Inseguirne la linea della nuca?
E se tutte queste parole fossero solo parole, sembianza, sostanza nulla, tremore?
E se ancora una volta, la vita stupendo volesse metterci alla prova, delineare confini indistinti e sfumati entro i quali, a ciascuno, necessariamente, è richiesto di cercare la via?
Ed ancora: “Quale sorte toccherà mai a coloro che chiamati non seppero rispondere?”.
Milena, la mamma di Vittoria e di Celeste

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