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LA VOGLIA DI CRITICARE

Negli anni più vulnerabili della mia giovinezza, mio padre mi dette un consiglio che non mi è mai più uscito di mente. «Quando ti viene voglia di criticare qualcuno, ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu». A dare questo consiglio al figlio, agente di cambio, è un padre e le sue sono in pratica le parole che aprono uno dei romanzi americani più acclamati, Il grande Gatsby (1925) di Francis Scott Fitzgerald, un ritratto impietoso e implacabile della corruzione che si cela dietro il paravento dorato della classe agiata di New York. Ci sentiamo di riproporre questo monito, perché vale un po’ per tutti e potrebbe comprendere una duplice lezione di vita. Da un lato, infatti, c’è l’invito a essere cauti nel criticare gli altri, quando si scoprono le loro magagne morali o i loro errori nelle scelte. Il nostro è spesso un giudizio condotto solo in superficie e forse ci tenta anche oggi, mentre in chiesa stiamo partecipando alla liturgia domenicale e lo sguardo cade sull’uno o sull’altro dei nostri conoscenti. Ricordo fin da ragazzo una tela di un pittore di un certo rilievo della mia terra d’origine, la Brianza, Emilio Gola, che raffigurava un crocchio di donne che, uscite dalla “Messa prima” della domenica, si fermavano sul sagrato a spartirsi con gusto le critiche sulle altre persone. D’altro lato, però, il consiglio citato ci esorta indirettamente a un atteggiamento non proprio frequente, quello della gratitudine verso Dio, la nostra famiglia, il prossimo per quanto abbiamo ricevuto nella vita. La riconoscenza è un fiore molto raro, tant’è vero che nello stesso Salterio su una cinquantina di suppliche si ha solo una decina di canti di ringraziamento! E «l’ingratitudine – diceva il grande Cervantes nel don Chisciotte – è figlia della superbia». Gianfranco Ravasi

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