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LA STAGIONE DELL’ACQUA DI LAURA BOSIO

La nostra biblioteca, situata a Remedello Sotto in prossimità della scuola dell’infanzia, in piazza Ruzzenenti, vi aspetta con tante altre novità ogni lunedì e giovedì dalle 17 alle 19. Se volete contattarci e verificare la disponibilità dei vostri libri preferiti telefonate al numero 328-1807645. “I libri più letti” 1° La voce invisibile del vento di Clara sanchez 2° Il prigioniero del cielo di Carlos Ruiz Zafon 3° Cose che nessuno sa di Alessandro D’Avenia “Perché leggerli” LE STAGIONI DELL’ACQUA di Laura Bosio Nata a Vercelli il 10 maggio 1953 è milanese d’adozione. Nel 1977, con una tesi sulla storia del cinema, si è laureata in Lettere moderne all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il suo romanzo d’esordio, I dimenticati, pubblicato nel 1993, ha ricevuto nel 1994 il Premio Bagutta nella sezione Opera Prima. Nel 1997 pubblica Annunciazione, vincitore del Premio Moravia. Nel 2007, con Le stagioni dell’acqua, è finalista nel Premio Rapallo Carige per la donna scrittrice e nel Premio Stresa di Narrativa. È autrice del soggetto e coautrice della sceneggiatura del film Le acrobate (1997), diretto da Silvio Soldini. Le altre sue opere sono: La preghiera di ognuno, La ricerca dell’impossibile, Le ali ai piedi e Teresina. Storie di un’anima. Quale motivo ha spinto Bianca a convocare urgentemente l’ex nuora che vive e lavora come interprete a Losanna? Le pagine di questo libro ce lo racconteranno nell’arco di una settimana, sette giorni che però penetrano e svelano anni ed esistenze, assumendo una forma epica, pur nel contesto di una quotidianità in cui i rapporti umani si fanno sempre più complici. Una fredda mattina di marzo arrivai alla Torricella, l’azienda agricola di 300 ettari, sita nel comune di Mortara, gestita ancora senza tentennamenti da mia suocera Bianca, una novantaquatrenne coraggiosa che non si era lasciata intimidire né dal progresso né tanto meno dalla vecchiaia; l’ammiravo ed avrei voluto essere come lei. La vista della tenuta dava un senso di grandezza e nobiltà: la casa liberty con la torretta, la chiesetta romanica in fondo al cortile, i grandi alberi di ciliegio, gli animali in libertà e la risaia; quell’immenso specchio d’acqua dove terra e cielo si mescolano e pare di vedere il mondo capovolto. Viaggiando per lavoro avevo incontrato suo figlio, Carlo, proprietario e gestore di un albergo. Ci eravamo frequentati, innamorati e sposati. Per me era stato tutto, il marito affidabile, l’amante impetuoso, la mamma buona ed il papà cattivo se mi lasciavo corteggiare da qualche sconosciuto. Tutto questo durò fino a quando decise di ristrutturare la casa del padre, da allora il nostro rapporto iniziò a vacillare; iniziarono le complicazioni e le seccature, fu travolto dalle spese, con me divenne sempre stanco e nervoso e scoprii che si era fatto anche un’amante molto giovane con la quale, successivamente, andò a vivere. Nel cortile della tenuta stanno caricando dei mobili su un camion e vedo Bianca seduta in veranda con una flebo di sangue che lentamente gocciola nella sua mano, mi invita ad accomodarmi accanto a lei e dopo qualche convenevole inizia a raccontarmi la sua vita. Aveva vent’anni quando il padre la ritenne, nonostante i figli maschi, la più adatta a gestire la risaia, lasciò la Brianza e si trasferì nella lomellina. Qui con l’aiuto di Albino, il fattore “mago dell’acqua”, di sua moglie Vittoria, di Dante, di Orientina, di Fosco e di tanta manodopera mondariso gestì con responsabilità e orgoglio la risaia della Torricella. A trentatre anni frequentando ed amando Cesare, un amico giornalista, dapprima mussoliniano poi avversario del regime, rimase incinta. All’ottavo mese di gestazione sparì dalla tenuta e vi ritornò dopo due mesi senza pancia e senza figlio. Lo aveva affidato al padre che con la moglie si era messo in salvo in Svizzera. A causa della guerra una suora clarissa, Orientina, aveva dovuto lasciare il convento e, con quattro consorelle, era riparata in campagna presso la tenuta di Bianca. Qui, in una dependance, aveva organizzato la loro vita come in un monastero ed aveva riaperto la chiesetta romanica dove personalmente officiava, a modo suo, le funzioni. Alla fine della guerra non rientrò in convento e dopo un processo laborioso e doloroso ottenne lo scioglimento dei voti e tolse definitivamente le vesti. Era magra, ben proporzionata, capelli lunghi rossi, le mancava il braccio destro, era intelligente e colta ed aveva accettato l’ospitalità in cambio di lavoro. Siamo intorno agli anni 50 e nelle risaie iniziano gli scioperi per avere un’indennità, un po’ di assistenza medica, controlli igienici nei cameroni d’alloggio, sapone al lisoformio ed un po’ di chinino. Anche gli operai si erano uniti per rafforzare la protesta e con loro anche Orientina. Vi furono sommosse, atti vandalici, omicidi, ma dopo 18 giorni le loro richieste vennero accettate. Un giorno arrivò alla Torricella Fosco, un tedesco balordo, uscito dai ranghi militari, che si era rifugiato in un bosco vivendo come un animale fino alla fine della guerra e dopo chiedendo la carità nei paesi vicini. Iniziò a lavorare nella risaia al fianco di Orientina che col tempo si affezionò a lui e spesso la sera si ritrovano per cenare insieme al roccolo, un rudere che lei aveva riattato per lui. Nella risaia avvenne l’omicidio di un ragazzo cinese e da allora Orientina e Fosco sparirono. Tutto il personale che viveva alla Torricella fu interrogato ma non si trovarono prove per incolpare qualcuno del reato. Certo la fuga dei due aveva insinuato in tutti loro dei sospetti. Nel tempo quella donna, la sua forza, il coraggio nell’affrontare la vita e la sua fede innata ne avevano fatto per Bianca, un’amica ed una presenza insostituibile; il mistero della sua dipartita lasciò in lei un grande dolore, non ancora sopito ed un senso di perdita incolmabile….. Che fine ha fatto Orientina? Quali sono le mire di Bianca sul futuro della nuora? Quali i suoi progetti per il nipote Filippo esperto “risaiolo” e la Torricella, testimone della sua vita? Lascio a voi il piacere di scoprirlo. Come avrete immaginato la vita ed il lavoro nella risaia fanno da sfondo a questo romanzo dove l’autrice ha saputo coniugare sapientemente la finzione letteraria con una minuziosa ed interessante descrizione delle origini e della coltivazione del riso nel corso dei secoli. Il suo scrivere è garbato, i sentimenti dei personaggi si rinsaldano e si riflettono nella magia, a volte dolorosa, dei ricordi, le immagini appaiono tangibili e vivide fra terra ed acqua dove le stagioni immutabilmente si alternano. Gaboardi Angela

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