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La morte e l’indifferenza

La testa mi scalcia alla base del collo, un fastidio persistente, una sofferenza scomposta, una ferita che non rimargina, sanguina e non consente alcuna consolazione. Da ore si susseguono le cataste di parole imbarazzanti, gestualità rubamazzetti dagli aggettivi altisonanti, recitazioni di urla e grida di indignazione. Da giorni il corteo dei commiati alla vita rubata fanno ingresso nelle case di ogni cittadino, certamente anche di quelli che hanno visto passando oltre. La ragazza è incollata al catrame dell’asfalto, bruciata viva, carbonizzata come la coscienza di chi ha voltato le spalle, di coloro che incredibilmente hanno fatto spallucce.  Quella ragazza risulta semplicemente un altro numero da aggiungere alle colonne colorate delle statitistiche, delle percentuali, dei dati esponenziali che dilatano a dismisura i tunnel senza via di emergenza, la pratica del sopruso, della prepotenza, dell’omicidio del più debole, del più fragile, dell’innocente di turno.                                                                                         Per infervorare il nostro sdegno, la nostra  compassione inferocita, potremmo sempre fare una fiaccolata, riempire una piazza, brandire-sbandierare al vento gli slogans. Sì, potremmo davvero farlo per calarli con forza sulle teste di chi  era presente , di chi c’era, di chi ha visto, di chi è rimasto fermo e di chi se l’è data a gambe levate, di quanti non hanno mosso minimante  un dito.                                                                                                                                       
Il boia di questo terzo millennio è l’indifferenza, l’ho detto, ripetuto fino alla noia, non è soltanto paura, viltà, vigliaccheria, che ci fanno indietreggiare di fronte a tanta miserabilità dis-umana, che rendono il nostro cuore una pietra, la nostra dignità un albero senza radici. La paura alberga in ogni uomo, scava dove la somma non ha mai sapore di giustizia, occorre fare leva su tutte le nostre energie interiori per ritrovare coraggio, quello spazio di terra e di sangue che ci fa schierare, senza se e senza ma, dalla parte chi vede rapinati, umiliati, annientati i propri diritti fondamentali. Ora più che mai c’è necessità di non confondere il  coraggio che scaturisce dal rispetto per se stessi e gli altri, con l’irresponsabilità di chi non agisce, di chi non si mette in mezzo, di chi non fa un passo avanti, di chi non intercede umanamente, dove l’inaccettabile vorrebbe dettare legge. Quanto accaduto a quella ragazza, non è qualcosa che non ci riguarda, perché dopotutto non sappiamo che fare, come re-agire, adagiati nei nostri comodi rifugi.
Tanta inaudita ferocia, altrettanta colpevole indifferenza, ci impongono di indagare non soltanto su chi commette infamie di questa portata, è fuor di dubbio la responsabilità e il castigo che dovrà seguire, ma anche e soprattutto su quella responsabilità collettiva che costituzionalmente non è penalmente perseguibile, ma ha residenza prettamente morale, legame parentale con la nostra origine ontologica, dello stare insieme, dentro quella solidarietà costruttiva che ci deve aiutare a uscire dall’angolo della nostra stessa dis-umanità e purtroppo indifferenza.                                                                                                                      La morte di quella ragazza, le morti degli innocenti, di chi spesso, sempre più spesso, rimane senza giustizia, non possono non riguardarci da vicino, la tragicità di questo evento non può indurci a guardare da un’altra parte, a sentirci autorizzati a non farci i conti, perché se è vero che non saremo mai complici di tanta efferatezza, è anche più vero che non dovremmo risultare mai  anche solo lontanamente corresponsabili di un atto tanto indegno.
Vincenzo Andraous

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