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LA MICIA DAGLI OCCHI VIOLA

Penso che ad ognuno di noi siano capitati avvenimenti strani, a cui non siamo stati in grado di dare una logica spiegazione; a me ne sono accaduti parecchi (senza che sia mai andato a cercarli).
La storia che stò per narrare, fa parte di queste stranezze. Prima di “pensionarmi”, ero contitolare di una azienda agricola. Essendo nato praticamente in stalla, sono cresciuto assieme agli animali, la famiglia di un contadino, non è racchiusa solamente nell’ambito del proprio focolare domestico, ma comprende anche tutte le sue bestiole.

Affinchè in una azienda tutto giri al meglio, ognuno deve avere dei compiti ben definiti e nella nostra cascina erano così suddivisi: mio fratello e suo figlio si occupavano della coltivazione dei campi, io e mio padre dell’allevamento del bestiame. Per meglio crescere gli animali e capire le loro esigenze, un costante contatto diretto con questi, era indispensabile. Prima di andare a dormire, mio padre ha sempre fatto un giro in stalla, controllava se qualche vacca stava per partorire (e quindi se avesse bisogno d’aiuto), spingeva con una pala il cibo contro la mangiatoia (in modo che tutte ne potessero usufruire), e guardava con attenzione se ve n’erano in calore (è indispensabile conoscere il ciclo dell’animale per poterla fecondare al momento giusto). Nel 1995 mio padre ebbe un infarto, essendo stato ricoverato per un lungo periodo all’ospedale, il compito di dare la “buonanotte” alle vacche, era stato affidato a me.

E così, un quarto d’ora prima di mezzanotte, accendevo il gigantesco faro che illumina il cortile (all’inizio andavo senza luce, ma dopo aver dato una testata contro un aratro non visto, ho preferito non risparmiare più sulla corrente), percorrevo i 50 metri che separano la nostra abitazione dalla stalla, imbracciavo la pala e cominciavo a spingere l’unifeed (piatto unico, è una miscela di tutti gli alimenti indispensabili all’animale; pesati, trinciati e miscelati tramite un apposito macchinario), contro la mangiatoia. Considerato che la totale lunghezza di tutte le greppie è 150 metri, si evince che è una faticaccia, però avevo la possibilità di controllare visivamente tutte le bestiole (le stalle sono dotate di una apposita luce notturna), individuando così animali non “vivaci” (magari zoppi, o con le orecchie basse, oppure che non ruminavano correttamente).


Mi ricordo perfettamente una sera, era il 10 agosto 1995, San Lorenzo (la notte delle stelle cadenti), prima di cominciare con la mangiatoia delle vacche da latte, con il naso all’insù, ho iniziato a scrutare il cielo, le stelle brulicavano come fossero api accese su un immenso favo blu, uno spettacolo da togliere il fiato. Improvvisamente, due stelle si sono staccate dalla volta celeste e sono cadute lasciando dietro di sé una lunghissima scia; stavo pensando ad un paio di desideri da esprimere, quando all’improvviso ho sentito qualcosa che mi grattava i piedi, ho fatto un balzo all’indietro spaventatissimo (credevo fosse un’enorme pantegana), invece si trattava di una bellissima miciona dagli occhi viola, anche lei si era spaventata e si era allontanata qualche metro da me; aveva un mantello di tre colori: il musetto nero con una striscia bianca in testa ed una grande riga rossa sulla schiena, il pelo lucidissimo e quegli occhi così particolari e penetranti… non l’avevo mai vista prima d’ora, non faceva parte del gruppo di felini della nostra cascina. Ho cominciato a parlarci: “ciao bellissima, da dove arrivi? Abiti dai nostri vicini?”.


Lei mi fissava, dopo un attimo di esitazione, si avvicinò nuovamente e cominciò a leccarmi le dita dei piedi (era una sera molto calda, indossavo mutande, canottiera e ciabatte aperte), la sua lingua era ruvidissima, mi dava un senso di fastidio e godimento al tempo stesso. Quando finì con la sua pedicure di ambo i piedi, presi la pala e cominciai a spingere l’unifeed contro la mangiatoia e con mia grande sorpresa, la gattona mi seguiva stando a due metri da me, mangiava con grande appetito i cubetti di mangime facenti parte della razione (l’unifeed delle vacche da latte, contiene un pellet particolarmente melassato).


Quando ebbi finito, salutai la miciona: “ciao Viola, buonanotte” – andai verso casa e lei si allontanava dalla parte opposta. Arrivato in lavanderia, mi lavai i piedi nella vaschetta del bucato, andai a dormire, e raccontai tutto a mia moglie. Lei mi rispose: “Sei sicuro non essertelo sognato?” – “Guarda che non sono ancora completamente rimbambito!”.

Con mio grandissimo stupore, la stessa identica scena si ripetè anche la sera dopo e dopo ancora, e ancora; esattamente per quindici anni e due mesi. Lo so che sembra incredibile, ma quando in lontananza lei vedeva il grande faro accendersi, si faceva sempre trovare all’inizio della mangiatoia delle vacche in lattazione ma ancora più inspiegabile e irrazionale, è il fatto che nel periodo invernale, quando ero vestito pesante ed indossavo gli stivali, lei miagolava con tono di pretesa finché non mi toglievo gli stivali per farmi leccare le dita dei piedi. Mia moglie e mia figlia, erano addirittura arrivate a dubitare di quanto dicessi: “ma com’è possibile che una gatta che non conosci, tutte le sere ti accompagna nel giro notturno e per di più ti “lava” i piedi?”.


Per non essere preso per pazzo, dissi alle mie due amate donne: “visto che la mettete così, stasera ad un quarto a mezzanotte, mi accompagnate nel mio giro, vediamo se sono io quello fuori di testa”. Così quella notte, le mie due care consorti, mi scortarono stando una decina di metri dietro di me; puntualmente la “mia” miciona arrivò, mi diede una bella lucidata ai piedi, e mi seguì come sempre. Mia moglie e la mia figlioletta erano allibite, Valentina parlò per prima: ”Papà, questa storia va avanti da 10 anni? Sai che io ti ho sempre creduto, ma se non l’avessi visto con i miei occhi… Prova a cambiare il bagnodoccia, forse è attratta dai tuoi piedi perché usi sempre quello alla vaniglia”. Ma qualsiasi tipo di fragranza usassi per lavarmi, le cose non cambiavano, la gattona mi grattava sempre con grande accuratezza l’alluce, l’illce il trillice e via discorrendo.


Avevo provato mille volte ad accarezzarla, ma lei non ha mai voluto che la toccassi, ciò nonostante la consideravo una cara amica. Il sapere che qualcuno mi accompagnava nel mio giro notturno mi faceva stare bene, spesso le parlavo e lei miagolava, dandomi d’intendere che capiva.
Le volte che è mancata al nostro appuntamento notturno, si possono contare sulle dita di una mano, soltanto in occasione di quando partoriva, e questo era evidente dal fatto che si presentava con una mammella particolarmente pronunciata ed i capezzoli succhiati dai suoi piccini.


Eravamo a metà ottobre del 2010, erano passati esattamente 15 anni e due mesi dal nostro primo incontro. Viola, la miciona dagli stupendi occhi color ciclamino, arrivò in ritardo al nostro appuntamento, si avvicinò a me molto lentamente, camminava a fatica, mi metteva la testolina contro una gamba. Avevo capito che non stava bene, cercai di accarezzarla, ma ancora una volta non volle che la toccassi, si allontanò di qualche metro, si sedette, mi fissò negli occhi almeno per un minuto, poi, piano piano se ne andò. Fu l’ultima volta che la vidi viva; una settimana dopo, spostando un ballone di fieno dal deposito in fondo alla stalla, trovai il suo corpicino.


Volle morire nella nostra cascina, sola in un angolo tranquillo, non distante dal sito dei nostri appuntamenti. Naturalmente, provai un dispiacere indescrivibile, le offrii una degna sepoltura.
Il perché una stupenda sconosciuta miciona, abbia voluto diventare mia amica, non me lo saprò mai spiegare, ma posso affermare con certezza, che ho capito maggiormente la vita stando a contatto con gli animali che non con le persone.
Giordano

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