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LA LUNGA NOTTE DI MATT LONELY

Quel pomeriggio del 1902 Matt si trovava da 12 anni in un carcere di una contea della Pensilvanya. Un posto remoto, con altri 8 colleghi che scontavano ciascuno l’ergastolo. Un piccolo carcere di massima sorveglianza, non solo per quel che riguardava i guardiani, forse più adatti a un canile ma anche a causa dei pochi abitanti, ormai abituati a quella realtà e che, come era già accaduto, non si facevano certo pregare quando era il caso di dare la caccia e impallinare un evaso in cerca di avventure. Matt, però, era di una pasta speciale. Condannato per omicidio plurimo stava pianificando la fuga da due anni e quello era il pomeriggio giusto. Sorprese la guardia alle sue spalle con una vanga a portata di mano; un colpo deciso fra gli occhi e dal cielo fu investito da una forza immane, nemmeno sapeva se l’avesse ucciso o meno. Non aveva molta rilevanza, ora doveva attraversare le 4 vie del paese e cominciare a correre come un animale braccato.

Non udì grida ne spari; era segno che aveva colto tutti di sorpresa. Matt era sempre stato un gran corridore e l’energia pareva venisse in suo soccorso. In 6/8 minuti si era lasciato alle spalle il centro abitato e stava già attraversando un largo terreno all’imbrunire… Ora bisogna dire che Lonely era un uomo di mare, la sua vita da libero l’aveva trascorsa su imbarcazioni e nei pressi di banchine del porto. Ora aveva eluso guardie, sorveglianza e tutto pareva spingerlo verso la libertà. Sapeva che sarebbe stata una impresa dura ma da incallito giocatore d’azzardo si sarebbe giocato il tutto per tutto. Col sole morente alle spalle, si trovava innanzi al nemico più ostinato. Un nemico che non aveva considerato tale, anzi ma col quale stava per fare conoscenza: il bosco che si estendeva per diverse miglia. Si inoltrò tra i primi alberi, si lasciò alle spalle il tramonto e si avventurò in quello che presto sarebbe diventato un mondo di ombre e non solo. Camminò per un ora, forse due ma non sapeva orientarsi… procedeva alla cieca, sentiva di avere energia ma presto la paura di non essere in grado di orientarla lo portò a un’inquietudine crescente. Lui era un uomo di mare, a lui quel mondo era sconosciuto. Bisogna ammettere che, a sua discolpa, Matt non aveva considerato e nemmeno compreso una cosa estremamente semplice: si stava smarrendo in quell’oceano per lui ignoto. Doveva essere notte perché quando alzava lo sguardo, nei rari punti in cui il fogliame lo permetteva, poteva scorgere una grande luna…
In preda allo sconforto gli pareva che ogni albero nascondesse la canna di un fucile, gli pareva di sentire i cani sguinzagliati ovunque. Ogni goccia di rugiada che cadeva sembrava uno sparo.

Regnava il silenzio ma anche lo scricchiolio di un ramo lo faceva trasalire. Se vi fossero stati orsi, serpenti o animali di ogni genere, erano tutti intorno a lui. Le sue paure più ancestrali gli piovvero addosso, ogni creatura del buio lo circondava, fossero gnomi, streghe o fantasmi ne era circondato. E la luna non lo aiutava, anzi lo guardava e pareva metterlo sotto un riflettore perché fosse visibile a ogni insidia, a ogni tiratore appostato. Non sapeva quanto avesse camminato ma anche un’ora di libertà in più era sempre un’ora, un minuto. Vagò alla cieca, non voleva arrendersi ma si sedette contro un albero: si sentiva circondato da un esercito intero. Matt Lonely pianse, mai come ora il suo cognome era più appropriato; Lonely, s o l o. E in effetti Matt era solo, solo nel bosco, null’altro. Quando si rialzò e imboccò un viottolo in discesa si accorse di sbucare esattamente nel terreno da cui era partito. Non fu difficile per due guardie sorridere e dargli il bentornato. Non alzò nemmeno le mani, lo condussero alla cella.
Matt Lonely si voltò un’ultima volta a guardare quella luna; era finita per sempre ma pareva quasi rilassato, il bosco era alle sue spalle.
Enrico Savoldi

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