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LA FURBIZIA

Come mi è già capitato di raccontare, sono nato nella cascina Canova di Fiesse, e lì ho trascorso i miei primi 7 anni di vita (sicuramente i più belli), anche se il casolare era molto vecchio e cadente, a me piaceva moltissimo, essendo tutto chiuso da stalle e portici, mi dava una sensazione di protezione, un terzo del cortile era ricoperto da cemento sul quale si facevano essiccare i cereali (frumento o mais in base alla stagione).
C’erano diverse persone che saltuariamente venivano a trovarci, ad esempio il raccoglitore di pelli, gli interessavano soprattutto quelle di coniglio e talpe (queste ultime, con le loro gallerie sotterranee, arrecavano enormi danni alle colture), solitamente venivano usate per confezionare copricapi invernali; era un modo per guadagnare qualche soldo in un periodo in cui si era veramente poveri (di beni materiali ma non di spirito), anche se io non ho mai sofferto la fame, noi contadini eravamo fortunati; grazie all’orto le verdure non mancavano, con il latte dei nostri animali, in casa si facevano burro e formaggio e via discorrendo.
Tra in frequentatori del nostro umile cascinale, c’era un gigantesco Frate che solitamente si faceva vedere una volta all’anno per raccogliere qualcosa da mangiare, anche se ultimamente le sue visite si erano fatte più frequenti; siamo a fine giugno del 1967, avevo 4 anni, lo ricordo perché nonno Oddone (padre di mio padre, venne a mancare proprio quell’anno ), el Fraton, così lo chiamavano per la sua enorme mole, arrivò nel nostro cortile sul suo piccolo scassato carretto trainato da un povero ronzino, il suo saio sgualcito e scolorito ed una lunga ed incolta barba facevano da contorno a questo singolare personaggio. Quando mio padre e nonno Oddone lo videro, esclamarono: “vaccocane, ghe che amo el Cappuccione, ma quest’autunno gli avevamo dato almeno 25 kg di mais per la polenta, glial bele majacc ?”, e così mio padre rivolgendosi a me e al nonno disse: “stavolta lo sistemo io”; salì su in granaio, prese il sacco di juta più grande che avevamo, scese in cortile e con la pala lo riempì col grano che stava steso ad asciugare in cortile… era un sacco gigantesco (oltre 100 kg di peso ), lo richiuse magistralmente con un robusto laccio, poi rivolgendosi al Fraton disse: “ecco, questo è tuo”, Mio nonno osservava allibito in silenzio, il religioso era talmente contento che abbracciò mio padre con una potenza da sollevarlo da terra — che Dio ti benedica buon’uomo, ogni giorno, dedicherò una Preghiera per il bene della tua famiglia — poi prese il saccone e come se niente fosse se lo caricò sulla schiena.
Arrivato vicino al suo carretto, con un colpo di reni lo sistemò sopra, provocando un tale sobbalzo che svegliò il vecchio cavallo. Prima di uscire dal cancello si girò urlando: “ Pace e Beneee “.
Qualcosa non aveva funzionato nei piani di mio padre; era convito che il Frate non sarebbe mai riuscito a sollevare un sacco di simile portata e perciò il religioso se ne sarebbe andato via a mani vuote, avreste dovuto vedere lo sguardo di mio nonno Oddone, era viola di rabbia: “Tiliooo (Attilio), porc… putt… Ta set pu stupit dele merde de galino” – poi se ne entrò in casa furente; allora mio padre si avvicinò a me: — “Hai visto Giordano cosa succede quando si vuol fare i furbi? C’è sempre qualcuno che te lo mette in quel posto!!! — Solo qualche anno dopo capii il posto che intendeva mio padre, e comunque per me fu una straordinaria lezione di vita.
Ancora oggi, quando ripenso a quel fatto mi domando come sia possibile che il Frate, un essere umano, sia stato in grado di sollevare un simile peso, mi sono convinto che Cristo gli abbia dato una mano; so che è una cosa inverosimile e fuori di testa, ma lasciatemelo credere.
Giordano

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