Quando ancora andavo a scuola avevo un amico: Federico, della mia stessa età, vicino di casa, facevamo i compiti aiutandoci a vicenda. A quindici anni ci siamo lasciati perché lui si è trasferito con la famiglia a Milano dove il suo papà aveva trovato lavoro. Poi è scoppiata la guerra e ci siamo persi di vista definitivamente. Sopraggiunta la pensione ci siamo ritrovati con baci, abbracci e cin-cin a non finire. Lui però non era più il Federo che avevo in memoria. Alto, snello, elegante. Un paio di baffetti. Era diventato uno di quegli uomini notturni che paiono nati e cresciuti sulle rive dei Navigli. Uno di quei milanesi pallidi ai quali la palestra, le docce, i bagni turchi hanno dato una forza nervosa e artificiale. Aveva assunto nella grande città una socievolezza, un’amabilità e una galanteria mondane che certi uomini possiedono in misura speciale. Se il valore della mia vita di relazione era pari a dieci, il suo era pari a cento. Per me però aveva un po’ tradito le sue origini. Lui è sempre stato alle dipendenze dell’Azienda Tranviaria di Milano ed abitava nel quartiere di Quarto Oggiaro. Aveva vicini di casa due giovani componenti l’orchestrina di un’allegra casa d’appuntamento nel centro di Milano, in via Montenapoleone, e raccontavano a Federico, anche nei dettagli, la curiosa vita notturna di questa casa di lusso riservata a gente molto in alto e magari anche blasonata. La dirigeva la signora Oriana, di facili costumi, deliziosa e piacevole. Era ancora signorina a tutti gli effetti fuorché nella verginità. Veniva aiutata da una decina di donnine giovani, scelte con scrupolo, molto graziose e con un non so che di furberia. Occhi bellissimi e un fisico inebriante. Bravissime nella seduzione.Già allora conoscevano tutti i segreti del Kamasutra. C’era molto da divertirsi in questa casa: si ballava, si giocava, anche d’azzardo, si mangiava… e non solo. Insomma, si poteva fare tutto quello che forma i piaceri della vita. La signora Oriana aveva una figlia: Giuly, diciotto anni, da poco uscita da un distinto collegio femminile. Splendida sotto ogni profilo. Sempre allegra e pronta alle feste. Già brava a ballare, dotata di grande fascino e grande gioia di vivere. Mi diceva Federico che una volta, per curiosità, entrò pure lui in quella casa perché era come un bar, al primo piano, si poteva entrare ed uscire anche senza aver consumato niente. Vide Giuly e si fece di lei questo concetto: o è un mostro di astuzia e perversità o è il più meraviglioso fenomeno d’innocenza che si possa immaginare perché vivere in quell’ambiente con quella tranquilla facilità si è a dir poco ingenui. In quell’occasione Federico venne presentato a Giuly e lui: “Siete adorabile signorina!” E lei rispose: “Non mi fate dichiarazioni Federico, potrei prenderle sul serio!”. Giuly aveva tanti pretendenti ma chi mai la sposerà? La casa di sua madre è una casa pubblica dove specialmente la figlia richiama la clientela molto facoltosa, gaudente e viziata. Sembrava che Giuly sapesse tutto dalla vita e dell’amore perché imitava il comportamento e le frasi, alle volte anche un po’ spinte, delle persone che le vivevano attorno. Sapeva o meglio sospettava quale mistero nascondesse chi parlava d’amore. Troppe frasi spiritose venivano sussurrate, anche nei giri d’un valzer, perché la sua innocenza non le fosse stata in qualche modo illuminata procurandole anche una certa inquietudine. Verso mezzanotte di una delle solite feste non vedendo la mamma, Giuly pensò che si fosse ritirata in camera sua per un malore. Andò a sincerarsi, la porta non era chiusa a chiave e come l’aprì vide la mamma abbracciata più che intimamente con un assiduo cliente non più giovane ma molto facoltoso. Richiuse la porta senza far rumore e tornò alla festa con gli occhi pieni di lacrime. Da un po’ di tempo aveva qualche sospetto.“Mamma! Un amante! Che vergogna! Ma io ti salverò!”. E al mattino dopo: “Oh, mamma! Mamma! Ti ho visto stanotte!” – “E allora?!” – “Ti devo parlare mamma: promettimi, partiremo subito noi due. Andremo in qualche posto di campagna , vivremo come contadine, come donne oneste. Vuoi?”. “Sentimi, figliola: ci sono cose che non puoi sapere, che non puoi capire alla tua età. Ti proibisco di parlarmi così!”. “No, mamma! Non sono più una bambina. So che in casa nostra viene gente anche non troppo onesta, purtroppo! Insomma, non bisogna più… Non voglio più partecipare. Partiremo. Venderai i gioielli se sarà necessario. Vivremo come due donne oneste, molto lontano da qui!”. “Ma sei diventata matta?” – “No, mamma! C’è una persona, quella che era con te stanotte, che non voglio più rivedere. Voglio che se ne vada o me ne andrò io!”. “Ma taci una buona volta! E’ vero, sono una cortigiana e ne sono orgogliosa. Le donne oneste non valgono più di me! Sì, sono una cortigiana! E allora? Se non lo fossi tu a quest’ora saresti una serva come lo sono stata io, andresti a lavorare a giornata, magari a fare le badante per poche lire. Dovresti lavare i piatti, pulire la casa e la padrona ti manderebbe via se tu perdessi tempo, mentre ora tu non fai nulla tutto il santo giorno proprio perché io sono una cortigiana. E dico cortigiana per educazione! Quando sei soltanto una serva, una ragazza con neanche una lira, devi arrangiarti se non vuoi morire di fame. E per le donne non c’è scelta. Non possiamo far soldi coi nostri magri stipendi o giocare in borsa. Abbiamo soltanto il nostro corpo, capisci? Il nostro corpo! Le donne oneste, quelle che intendi tu, se non fanno come me provino a guardarsi allo specchio!!!” Giuly piangeva a dirotto. E la mamma chi la tratteneva più? “Quando sei una bella ragazza devi vivere e dare un valore alla tua bellezza, oppure patire la fame per tutta la vita! Per tutta la vita! Ma cosa ne sai tu Giuly della vita e dell’amore?” E piangevano tutte e due in un abbraccio senza fine. Pare che Giuly in seguito abbia tentato il suicidio, anche per dimostrare una certa coerenza. Ma era troppo felice della sua gioventù e della sua gioia di vivere. Poi le cose si appianarono anche perché la “casa” venne chiusa per legge come le altre in Italia. Giuly trovò marito, un bravo marito innamoratissimo. Ebbe due figli e forse le è rimasto qualche rimpianto per quella vita gaudente e spensierata a Milano, in via Montenapoleone. La mamma, sul viale del tramonto, viveva di ricordi e ogni giorno scriveva una pagina delle sue memorie. Giuseppe Paganessi