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L’ULTIMO DEI FRATELLI

Esco dal cancello. Nebbia fittissima che nasconde il paesaggio, si può tagliare con un coltello, si suol dire. M’incammino verso il paese e sento sotto i piedi lo scricchiolio delle foglie secche che lastricano il marciapiede. Lo sguardo non riesce a perforare, che per pochi metri, la fitta coltre. Sui lati piante spoglie che protendono i loro nudi e umidi rami al cielo come per invocare un raggio di sole. La strada la conosco a memoria, la percorro tutti i giorni. Lo squillo di un campanello mi fa sobbalzare, sento un fruscio sfiorarmi e una squillante voce femminile mi grida: AUGURI!. Mi giro di scatto e riesco appena a figurare un fanalino rosso di una bicicletta che si allontana. Mi fermo. Rifletto: auguri, auguri perchè? Caspitina, oggi è l’ultimo giorno dell’anno. Me ne ero dimenticato. Mi viene uno sciupon, come direbbe la buonanima di mio nonno. Ma come, sembra ieri che ci stringevamo la mano augurandoci buon anno nuovo: come passa veloce il tempo. Mi ricordo di mia madre che ripeteva: la vita è come il vento, un soffio e poi scompare. Oggi finisce anche quest’anno, ce ne saranno altri: speriamo.
AUGURI!!! Incrocio un altro fantasma con la voce baritonale di un uomo uscita dall’apertura di una grossa sciarpa che gli copriva quasi tutto il volto eccetto gli occhi: non l’ho conosciuto. Proseguo e passando davanti ad un negozio di alimentari vengo quasi investito da un gruppo di ragazzini vocianti che uscivano sorreggendo dei scatoloni dentro i quali riuscii a intravvedere bibite, dolci, salumi ed altre leccornie. Sicuramente si preparavano a festeggiare l’arrivo del nuovo anno a casa di qualcuno di loro. Beata gioventù che passa e non ritorna più. Esco dall’edicola con l’ultimo giornale di quest’anno, sono indeciso se fare un altro giro o se tornare subito a casa. Sento le campane che suonano a festa, mi ricordano che verrà celebrata, come tutti i fine anno, la messa di ringraziamento. Attraverso la piazza ed entro in chiesa. Sono solo, eccetto la presenza di quel Gesù che è appena nato. Mi siedo. Un silenzio quasi assordante. Ad un tratto sento un sommesso brontolio, quasi come una pentola in ebollizione, cerco di scrutare nel buio se per caso da qualche angolo provenga ciò. Non mi viene l’illuminazione. Rimango pensieroso e assorto. Perbacco! Ecco spiegato l’arcano: i banchi della chiesa confabulavano fra loro, mormoravano. Nel vedermi entrare si erano passati la voce e tutti esprimevano il loro parere: ecco questo non è mai entrato in chiesa, entra oggi che è l’ultimo giorno dell’anno. Cos’è che l’avrà spinto?
Il più ardito dei banchi di prima fila ( i privilegiati ) quasi ad alta voce per farsi sentire anche dagli altri: Gesù di Nazareth è nato anche per lui. Non si pensi che i banchi delle chiese non abbiano un cuore. Lentamente mi alzo. Il mormorio cessa. Ho avuto l’impressione che i banchi si congratulassero fra loro gioiendo. Sarà stata un’illusione?Esco dalla chiesa. Nebbia sempre fittissima. Non si riesce a scorgere le case in fondo alla piazza. Mi dirigo verso casa.
Cammino lentamente a testa bassa. Attraverso un paio di strade per la solita destinazione. Ad una rientranza mi si presenta seduto su un muretto di cinta un grosso fagotto, una specie di saio con dentro qualcuno. Non scorgo né faccia né piedi. Mi avvicino e percepisco un lieve fremito provenire da sotto quell’involucro nero. Osservo meglio e scorgo un viso guarnito da una folta barba con occhi chiusi e dalle labbra pendenti uscivano dei bisbigli. Mi siedo in parte. Cerco di spostargli il cappuccio per capire di chi si trattasse. Apre gli occhi. Sono due fessure profonde indefinite. Sembra mi guardi. AUGURI!! Gli recito titubante. Abbassa sempre di più il capo quasi a toccare terra.
Ha bisogno di qualcosa? Mi azzardo a proferire. Tutto d’un tratto erge il busto, si solleva il cappuccio, mi guarda con occhi che non definirei umani. Non proferisce verbo. AUGURI!! Ripeto. Buona fine e buon principio. Perchè si nasconde, non è felice in questo giorno? Un suono, quasi un sibilo, gli esce dalle labbra. “Non posso essere felice. E’ finito il mio tempo e me ne sto andando. Tutti gli uomini mi stanno dando la caccia. Vogliono che sparisca. Sono l’ultimo di una famiglia numerosa. Eravamo in trecentosessantacinque fratelli e sono rimasto solo: l’ultimo. L’unico e fra qualche ora anch’io sparirò e tutti gli uomini festeggeranno. Siamo nati tutti insieme, poi una forza sconosciuta ha designato per ognuno il momento di salire sul palcoscenico della vita degli uomini. A me è toccata l’ultima recita. Ho gioito per l’accoglienza che è stata riservata ai miei fratelli, soprattutto al primo di cui hanno riservato un trionfo, un tripudio di gioia. Di sott’occhi ho visto che si pavoneggiava. Ma pazienza: era così giovane. Tutti gli altri si sono succeduti: chi con più gioia, chi portando speranza, chi con dolore e disperazione. Sono rimasto solo: l’ultimo. Fra poche ore sparirò anch’io ma prima vorrei lasciare un messaggio. Fallo tu per me. Divulga il verbo che sicuramente sparirò, ma domani ne nasceranno altrettanti. Cerca di convincere che non siamo noi fratelli buoni o cattivi, sereni o nebulosi ma è l’animo degli uomini che determina ciò.
Noi nasciamo la mattina e ci spegnamo la sera, ma è la cattiveria, l’ingordigia, la prevaricazione, l’arrivismo e la malignità dell’uomo che avvelenano la nostra breve parabola su questa terra. Anche a noi fratelli piange il cuore quando durante la nostra breve apparizione accadono nefandezze indicibili. I giovani hanno fretta di vivere e sperano che noi ci spegniamo alla svelta. Gli anziani ci pregano di allungare la nostra esistenza. Amico, sento già lo scoppio dei mortaretti: hanno foga di scacciarmi. Domani ne nascerà un’altra nidiata e ricomincerà la stessa parabola. Fra poco ci sarà un’esplosione di gioia ed un baccano indicibile. Non so se ha senso, ma l’uomo è fatto così e difficilmente cambierà. Su di me hanno caricato tutte le insoddisfazioni e si illudono che sparendo il domani possa cambiare: una grande speranza. Riabbassa la testa e si copre di nuovo con il cappuccio. Capisco che il nostro dialogo è finito. Mi alzo. Indugio e cerco di allungargli la mano. Non si muove. Mi avvio camminando a ritroso. Voglio cercare di vederlo finchè la nebbia me lo permette. In lontananza si sentono dei botti. Un gruppo di ragazzini in motorino transitano veloci facendo scoppiare petardi vicino all’ultimo FRATELLO. Non si scompone. Il suo destino è segnato. Non so se gridargli un augurio od un addio. Non so più cosa pensare, mi sento gli occhi umidi: non è la nebbia. Addio ultimo FRATELLO, la tua fine porta via anche a me un lembo di vita.
Mario Venturini

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