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L’indifferenza

E’ la cultura dello scarto quella che prende vita, corpo, fa capo all’infinito concatenarsi di eventi, gesti, pensieri. Evoluzione della specie porta alla consapevolezza prima dell’essere; in primo piano posto, al di sopra di ogni cosa, indiscusso bene, primizia per eccellenza. Da qui articolati nascono infinite volture, indifferenze, mancanze. Da qui l’assenza di valori che porta allo sminuirsi di tradizioni, regole. Senza parole si rimane di fronte alla naturalezza con cui dinnanzi alla fragilità, congenita o acquisita, vadano con schiettezza formandosi mezzi sorrisi, gesti smorzati, allusioni vaghe. Disinteresse che uccide, lama tagliente nel costato premuto con foga. Indossa l’abito buono l’indifferenza, si move con eleganza; alle mani guanti d’immacolato candore, sulle labbra sorrisi ambigui, nella mente rifiuto. Sa alle spalle prenderti, in un momento inaspettato, cogliere di sorpresa, mettere a disagio, in interrogazione. Domanda esigente, il cui gonfiarsi, da vita a cordoli ossuti, entro cui animo e core gettare con decisa autorevolezza. Freddezza che esige risposta; bestia dalle fauci allargate da guardare dritto negli occhi; con sfida innanzi portando amor di giustizia in nome di amore che non ha confini, che non teme; che non muore ma rinnovato osa ardire. Ardore genera foga, pianto, passione, gioia ed ancora forza, audacia, parola fluente, sinfonia. Su righi composti, vanno movendosi sogni, gesti minuti prendono nome, pretendono rispetto, forma, posto. Da madri si diventa vendicatrici. Di foco gli occhi, in fiamme l’animo, puntato il dito contro chi accostandosi osa mancare di rispetto, mettere da parte coloro che colti da malattia non hanno voce. Occhi sbarrati dallo stupore i loro, zittiti dall’assurdo sentore d’ostilità manifesta. In grembo giunte le mani, inerme ristare in attesa di gesto che non giunge, intrappolato da mille cavilli, commi, regole, leggi. Osare si deve, per rispetto e con amore, la voce far sentire; urlare per far ascoltare il proprio grido. Nella quiete della sera, mentre la luna in lontananza splende un pensiero attraversa irriverente la mente. Azzarda, accartocciato fruscia, sibila sino a divenire sussurro il cui allargarsi poco alla volta lo fa divenire canto e poi sussurro. Infine guardarsi allo specchio, per davvero, sino in fondo, senza remore o timori. Poi lo sguardo inoltrare in quello di un ammalato, di una persona anziana, sola, abbandonata, di un sofferente trovando ancora la forza ed il coraggio di dire: “Perdonate l’ardire. Perdonate lo sfogo. Ma chi non parla viene seppellito vivo e grazie a Dio sono vivo!!”. Milena, la mamma di Vittoria e di Celeste

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