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KATIA TENTI, IO E IL MIO AMORE PER LA LETTURA

È una donna e una scrittrice profonda Katia Tenti, ma anche simpatica e briosa. Ha alle spalle svariate pubblicazioni di tutto rispetto e l’ultima è il romanzo Resta quel che Resta, dove troviamo il racconto dell’amore patrio ma anche della lotta per la sopravvivenza di alcune famiglie, apparentemente molto diverse tra di loro, che vivono nel Suditirolo negli Anni ‘20 del Secolo Scorso.
C’è tanto dolore ma anche un senso di rivalsa che troviamo ben diradato nel corso d’opera. Ma che cosa sappiamo davvero della sua autrice?

Katia, svariati romanzi ( e non solo) all’attivo, ma che ricordi hai della prima volta che ti sei accinta a scrivere la tua prima opera?
Hai presente quel detto “tante idee, ben confuse”? Ecco! Io mi trovavo proprio in quella situazione. Ho sempre saputo di voler essere una scrittrice, ma all’epoca non avevo compreso che occorre diventarlo: il talento non è sufficiente, occorre tecnica, motivazione, dedizione, sacrificio e tanta, tanta passione. Poi c’era un altro problema molto serio: avevo in mano quattro storie che si prestavano ad una narrazione senza avere idea di come intrecciarle. Che genere di libro avrei scritto? Un po’ come avere in mano un cestino con quattro ingredienti senza avere idea di come combinarli per farci un piatto appetibile. Volevo scrivere un libro di narrativa, un saggio giornalistico o volevo scrivere un thriller?
Ho dovuto lavorare parecchio su di me e sulla motivazione che mi spingeva a voler scrivere prima di iniziare ad imbastire l’opera.
Dalla mia avevo tanto entusiasmo e tanta incoscienza: un vero e proprio salto nel buio di quello è il mondo dell’editoria. Ma alla fine mi ha ripagato, almeno in parte. Ho ancora molto da fare!

Spesso quando si è ancora alle prima armi non si ha uno stile proprio, tu come hai trovato il tuo? Con quali parole lo descriveresti?
Lo stile è l’insieme di diverse strategie linguistiche, sintattiche e ritmiche attuate per far emergere i contenuti in modo efficace. Se il contenuto è il “cosa”, lo stile è il “come”. Non ci sono regole generali, ma su alcuni punti è necessario avere una buona formazione tecnica. La conoscenza della grammatica e della sintassi è fondamentale. Alcune regole di composizione, come la gestione del capoverso piuttosto che l’uso degli avverbi, sono aspetti che occorre padroneggiare, non c’è dubbio. Dopodiché molto dipende dalla strategia personale: porsi domande come “a chi voglio parlare?” piuttosto che “quale grado di confidenza voglio dare al lettore?”, oppure “quanto della mia esperienza voglio metterci?” sono cruciali per individuare voce e stile personali. Personalmente mi aiuta molto leggere. Leggo di tutto: generi, autori e stili molto diversi tra loro. Mi aiuta a comprendere meglio come vorrei esprimermi io per entrare in contatto con il mio lettore ideale.

I grandi scrittori del passato e gli autori dei classici erano ben distinguibili tanto è vero che senza nemmeno leggere il loro nome in copertina possiamo capire chi e che cosa stiamo leggendo… Come mai si è persa- sovente- questa caratteristica?
Credo che questa caratteristica valga ancora e per molti autori. Come per i pittori o gli scultori di un certo livello: la mano si riconosce subito. Amo l’arte contemporanea e posso garantire che a forza di vedere le opere dei vari artisti, ormai sono in grado di distinguere chi ha realizzato un certo pezzo anche senza leggere il nome.
Questo è legato in modo indissolubile con la ricerca dello stile e il nesso logico che esso assume nel trasmettere il messaggio della nostra storia: solo allora si crea quell’unicità distinguibile. Si perde o, meglio, non si acquisisce, nel momento in cui lo scrittore non fa ricerca. Io credo che tutti siamo in grado di scrivere, già solo perché lo impariamo alla scuola elementare. Ma scrivere e creare un’opera sono due cose completamente diverse.
Nel mezzo scorre lo studio, l’esercizio, la ricerca, l’esperienza. E la passione autentica.

Credi che i giovani, al di là del fatto che talora sono messi come libri da leggere durante i vari anni scolastici, riescano ad amarli ancora i classici?
Il problema è doppio, a mio avviso: da un lato c’è un modo poco appetibile di presentare i classici a scuola. Non tutti gli insegnanti li presentano in modo da stuzzicare la curiosità dei ragazzi. Dall’altro lato c’è che i programmi ministeriali impongono sempre gli stessi titoli che, francamente, per quanto affascinanti, non sempre combaciano con la realtà contemporanea. Leggere I promessi sposi di Manzoni – che personalmente trovo un romanzo molto bello – è come studiare storia antica, se vogliamo. Può piacere, è senz’altro interessante, ma poi sarebbe anche utile e altrettanto interessante studiare storia contemporanea, dunque letteratura dei nostri tempi.

Tu a quali sei maggiormente legata e perché?
Amo molto i classici in generale perché mi fanno conoscere mondi e storie che oggi non posso vivere direttamente. Ma anche perché alcuni li trovo sempre attuali. Se penso ad esempio al romanzo di Kafka, Il processo, non posso che ritrovarlo in tante storie di cronaca italiana e non solo. Un uomo arrestato e perseguitato dall’autorità senza che venga mai a sapere qual è la natura del suo crimine. Non è un tema di oggi? E che dire di Orgoglio e Pregiudizio? Oppure, per restare in Italia, I sei personaggi in cerca di autore di Pirandello? Nell’opera si capisce bene che c’è discordanza tra quello che l’attore e il personaggio che interpreta e credo che il mondo Social di oggi rappresenti molto bene questa discrepanza.

Tra l’altro Resta quel che Resta, la tua ultima opera, è anche un invito rivolto ai ragazzi a ritrovare, per quelli che l’hanno perso, l’amore per la patria. Un tempo la letteratura era piena zeppa di testi in tale direzione, come mai- invece- oggi non è più così?
Credo che patria sia una parola svuotata dal suo significato tanto da aver perso senso.
I confini sono talmente grandi e si sono fatti talmente fluidi da rendere difficile decifrare questo concetto che di per sé riguarda l’identità culturale, linguistica e geografica. Ci dovrebbe fornire senso di sicurezza che non sempre è concreto. Una cosa però credo: nel momento in cui qualcuno dovesse minacciarci, quel senso tornerebbe a farsi sentire dentro ognuno di noi.

Come è cambiata la Letteratura negli ultimi anni?
La Letteratura si è specializzata sempre più in generi e sottogeneri in modo da andare incontro ai gusti sempre più di nicchia dei lettori. Se parliamo di Letteratura in senso stretto poi, credo che gli scrittori di cultura in grado di insegnare davvero qualcosa di utile siano sempre meno. Oggi si scrive – e si legge – più per intrattenimento e per evasione che non per imparare o conoscere qualcosa. Ma questo aspetto, di per sé, non è negativo, al contrario: in un mondo dove il Giornalismo è fin troppo realistico al punto da sguazzare tranquillamente nella morbosità, trovo interessante e perfino rassicurante che la Letteratura, al contrario, mantenga un ruolo di riflessione e anche di divertimento. Occorre ancora a raccontare storie in modo più accurato e profondo che il Giornalismo mordi e fuggi tende ad appiattire. Abbiamo tanto bisogno di vedere anche il rovescio della medaglia senza giudicare, di calmarci, di rilassarci, di divertirci: oggi più che mai, in un mondo che sembra voler comunicare solo per metterci ansia.

A scuola la si studia abbastanza e nella maniera corretta?
Credo che il problema della scuola oggi è che rischia di perdere il suo ruolo – fondamentale – di trasmissione dei saperi per diventare sempre più un luogo di socializzazione dove agli insegnanti viene chiesto di gestire problemi sociali e differenze culturali.

Un pensiero che ti sentiresti di rivolgere ai nostri lettori e a te stessa per il 2023 ormai alle porte…
Leggere aiuta a vivere meglio e ad essere più libero. E io suggerisco di farlo spesso e con attenzione. Leggendo si impara a distinguere i messaggi fuorvianti, la propaganda, dalla verità delle cose. Mi auguro che tutti abbiano la fortuna che ho avuto io nella vita: potersi innamorare della lettura.

Laura Gorini

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