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JANET

A 108 anni dalla pubblicazione originale esce, tradotto per la prima volta in italiano, l’intervento di Janet al Congresso internazionale di medicina tenutosi a Londra l’8 agosto 1913.
L’edizione è curata e introdotta da Maurilio Orbecchi, medico-psicoterapeuta, che conosco da molti anni, nei confronti del quale ho affetto e stima.Leggere questo libro mi fa dunque molto piacere, per due sostanziali motivi: uno affettivo, e l’altro per i contenuti espressi. E mi ha fatto anche piacere che sia stato ottimamente recensito sugli organi di informazione.
Perché Janet?
La storia di Janet è la storia di un vinto che aveva ragione, uscito tuttavia perdente dallo scontro con Freud. Nella prefazione Maurilio Orbecchi spiega molto chiaramente, e in modo accessibile anche ai non addetti ai lavori, perché la psicoanalisi di Freud abbia vinto sulla teoria janetiana, e come quest’ultima sia stata riscoperta dopo anni di silenzio.
Una considerazione molto suggestiva di Ellenberger, autore de “La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica”, esprime la situazione di trascuratezza in cui si trovava Janet alcuni decenni fa: “L’opera di Janet può essere paragonata a una grande città sepolta sotto le ceneri, come Pompei. Il destino di una città sepolta è incerto: può restare sepolta per sempre; può rimanere nascosta ed essere saccheggiata dai predoni. Ma è anche possibile che un giorno sia dissotterrata e riportata in vita.”
L’occasione per riportarla in vita fu la guerra del Vietnam. Gli psichiatri americani si ritrovarono di fronte migliaia di giovani reduci traumatizzati, da cercar di curare. Si risvegliò l’interesse per gli studi sul trauma, si finanziarono ricerche, e in questo clima anche le teorie di Janet rividero la luce, rivelandosi corrette e basi efficaci di strumenti terapeutici utilizzati ancora oggi.
“Il modello teorico di Janet – cito dall’introduzione – resiste al tempo e risulta ancora compatibile con i programmi di ricerca di molte discipline contemporanee, come la neurobiologia, le neuroscienze cognitive, la psicologia evoluzionistica, la psicologia dello sviluppo, il cognitivismo e l’etologia umana. La cosa non stupisce, dal momento che Janet nel descrivere come funziona la mente si era basato anche sui dati provenienti dall’etologia, dalla psicologia infantile e dall’antropologia culturale del suo tempo, tenendo sempre come riferimento la teoria dell’evoluzione”.
Penso alla mia formazione di psicologa. Mi sono laureata più di trent’anni fa, attraversando un corso di laurea imbevuto di cultura umanistica e assolutamente carente di cultura scientifica. Ricordo perfettamente come la scienza venisse considerata un riduzionismo rispetto alla ricchezza e alla complessità dell’animo umano. Da allora, fortunatamente, le cose sono cambiate, e la psicologia ha posto le sue radici nella scienza, scoprendone la meraviglia. Altro che riduzionismo! Poggiare sempre più i piedi su un terreno scientifico è stato per me rassicurante. Mi ha dato nuovi strumenti di lettura e di pratica terapeutica. Do il mio personale benvenuto a questo libro di cui consiglio la lettura, interessante non solo per gli psicologi: la vicenda Freud – Janet non racconta solo di teorie psicologiche in contrapposizione, ma anche di spirito dei tempi, di ideologie che oscurano la realtà.
sguardiepercorsi

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