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Io potevo farci qualcosa?

Venerdì 15 maggio andai al reparto psichiatrico a trovare un amico ricoverato. Mentre passavo per il corridoio vidi una persona che conoscevo da 7-8 anni: Elèn.
Ricordo la prima volta che la vidi, quando l’ospedale era ancora in Largo Barozzi. Restai colpita da quella ragazzina di 18 anni che, così giovane, era già alla psichiatria.
“Come ti chiami?” “Elèn” “E come si scrive?” “Così, come te lo dico”
Quando la rividi al Papa Giovanni aveva 27 anni ed era piuttosto cambiata: i capelli, una volta di un bel nero corvino, erano color rame e non portava più la coda di cavallo ma una specie di treccia. Gli occhi nerissimi, che di solito sottolineava con due righe nere, sembravano meno neri grazie ad un ombretto blu o verde, la bocca di solito non truccata, era dipinta di rossetto rosso, ma solo nella parte centrale. Come al solito era scalza, non so se fosse spesso scalza per sua volontà o se le portassero via le scarpe perché non cercasse di scappare. In Largo Barozzi le finestre della psichiatria erano piuttosto basse, ma al Papa Giovanni, no. Subito la riconobbi, la salutai chiamandola cara e le chiesi come stava.
“Male… sai, forse quando mi dimettono dovrò andare in carcere…” “Come mai?!”esclamai.
Ma in quel momento arrivò gente, fummo distratte e due minuti dopo (così sciagurata è la mia memoria) non ricordavo più questa conversazione. Il martedì 19 tornai a trovare il mio amico e chiacchierando del più e del meno, chiesi come stava Elèn.
“Male! E’ morta” “Morta?!
Ma come, quando?” “Sabato notte.
Non si sa come, devono farle l’autopsia”
A me venivano in mente tante cose.
Come quella volta che mi ero comprata degli orecchini e li regalai a lei perché le stavano molto meglio che a me. Non riuscivo a staccare gli occhi dal suo viso incorniciato dai miei orecchini e lei, equivocando, mi chiese se li rivolevo.
Così te ne sei andata, povera piccola.
Chissà, forse volevi scappare da una finestra e sei precipitata, o forse volevi proprio morire? Forse hai rubato un tubetto intero di sonniferi e  te li sei inghiottiti tutti. Se si è trattato di un suicidio. Mi ricordo anche che il mio amico una volta ti ha difeso da degli uomini che volevano violentarti e tu hai detto agli infermieri di non legarlo stretto, inventandoti che era tuo zio. Forse quegli uomini erano lì nel reparto e volevano violentarti. E siccome hai reagito ti hanno uccisa? Tutte domande senza una risposta. Ma la domanda più brutta, quella che fa più male, è: io potevo farci qualcosa?
Forse, se mi fossi interessata di più a te, avrei potuto aiutarti? Se fossi stata per te come una sorella, saresti ancora viva?
Chi lo sa! L’unica cosa che posso dire adesso è:
“Addio dolce ragazza. Riposa tranquilla perché hai trovato la pace che da viva non potevi avere”
26/05/2015
Anna Gay

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