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IO E LA MARATONA: CRONACA DI UN SOGNO

Chissà com’è correre per 42 km e 195 metri. Me lo sono chiesta tante, tantissime volte, guardando le gare di atletica in diretta TV. Più di ogni altra volta me lo chiesi in quelle magiche Olimpiadi di Atene 2004, quando il grande Stefano Baldini si lasciò alle spalle tutti gli avversari e si guadagnò un posto nella storia della distanza regina, la gara di tutte le gare.

Se me lo aveste detto due anni fa, che un giorno anche io avrei corso una Maratona, vi avrei riso in faccia. Non sono mai stata una persona sedentaria, ma nemmeno una sportiva in senso lato. Corricchio da sempre, la prima volta credo sia stato a 10 anni con l’amichetta del cuore del tempo. Ma l’ ho sempre fatto con la spinta del momento, più che altro per cercare di perdere i soliti 3-4 kg. di troppo.

Poi, due anni fa, la svolta. Con il mio compagno abbiamo iniziato ad uscire insieme sulle nostre splendide colline e poi ci siamo iscritti ad una squadra podistica. E li abbiamo scoperto un mondo parallelo, un popolo che alla domenica mattina all’alba si sveglia e si ritrova felice in strada per correre o camminare insieme.

Ed abbiamo iniziato a fare sul serio. Così ci si ritrova a vivere la vita del podista amatoriale: di giorno il lavoro di sempre e la sera, tre/quattro volte a settimana si esce per allenarsi, con il caldo torrido di agosto o con il gelo e l’ umidità invernale, a volte con la pioggia e qualche volta anche con la neve. E poi al sabato sera pasta in bianco e a letto presto, perché alla domenica ci si alza alle sette, quando si è fortunati, e si parte per la gara in programma nel calendario provinciale. Ho iniziato con 5 km., poi 10, poi mi sono innamorata della Mezza Maratona, 21,097 km. E, nonostante a giugno dello scorso anno continuassi a sostenere che non avrei mai corso una Maratona, era sempre più forte la voglia di aumentare i km e di spingermi sempre un po’ più in là.

Non lo so che cosa mi abbia fatto cambiare idea; forse, ancora una volta, le Olimpiadi e il fascino nel seguire ogni gara in diretta. 

E così, a dicembre mi sono iscritta alla Maratona di Ferrara, in programma il 24 marzo. Non fatevi ingannare, una Maratona non si improvvisa. Ci vogliono mesi di duri allenamenti, anche quando non hai voglia, anche quando la quasi totalità delle persone sta sul divano con il plaid sulle gambe (beati loro!). Io, causa una lunga influenza e l’inverno più nevoso della storia (!!), di questi allenamenti ne ho fatti la metà. Non mi sentivo pronta come avrei dovuto…

Domenica 24 marzo la sveglia suona alle cinque, ma io non ho quasi chiuso occhio. Faccio tutto come al solito, la colazione, mi preparo e si parte da Reggio Emilia alla volta di Ferrara. Piove a dirotto, tira vento e sono inquieta. Neanche stessi andando al patibolo. Arriviamo alla nostra bellissima meta in orario sulla tabella di marcia, ritiriamo i pettorali sgomitando in mezzo alla folla e ci prepariamo alla partenza. Sono sempre più tesa, mi guardo intorno e mi sento come Rose sul Titanic, camminando verso la linea di partenza sotto un’ acqua battente. Ho freddo ed inizio a temere di non farcela, se pioverà tutto il tempo così. Lo starter finalmente spara e a quel punto il cervello si annebbia: corro e basta. Per i primi 15 chilometri vengo accompagnata da una dolce amica ultramaratoneta, che mi incoraggia fino a quando le nostre strade si dividono (lei farà il percorso più corto). A quel punto resto sola,mentre alla pioggia si è sostituito un forte vento freddo, costantemente contrario. In realtà però, non si è mai soli. Questa è la cosa più magica della corsa: le persone che incontri lungo il cammino, che condividono le tue stesse sofferenze, le tue stesse paure, che ti sostengono nei momenti di difficoltà, così come fai tu con loro. Se non si corre non si può sapere che lo sforzo più grande di tutti non è quello che fanno le gambe, ma è quello della “testa”. Le gambe si comportano di conseguenza, tu decidi cosa fare e loro lo fanno (quasi sempre!). Al 28° km. la strada da percorrere era ancora lunga ed io ho creduto di non farcela. E così mi sono messa a camminare, inventandomi dolori che forse nemmeno esistevano, ma erano un ottimo alibi per farmi raccogliere dall’ambulanza due chilometri dopo, al ristoro previsto.

Credevo davvero che non ce l’ avrei fatta ed ho iniziato a piangere per la rabbia, perché quello era il MIO sogno, per cui avevo lavorato tanto e perché avevo detto a tutti che ce l’ avrei fatta. Poi, eccolo lì che arriva, il mio angelo custode; nei momenti bui che ho avuto nelle mie gare ne è sempre arrivato uno. A volte basta una parola di incitamento per farti riaccendere la miccia e ripartire. Lui ha fatto molto di più: mi ha affiancata per tutti quei lunghissimi chilometri che mancavano al traguardo. E così vedevo i cartelli segnaletici passare via, 30, 31… 35…38 e poi quaranta… Dolore alle gambe, paura che arrivino i crampi, cerco di mantenere il passo costante fino alla fine, a volte alterno camminata e corsa per non sfinirmi troppo. Fino a trovarmi su quel lungo viale che mi avrebbe portato al traguardo. Eccolo, il cartello, 42 km, accelero il passo, inizio ad urlare, alzo le braccia al cielo. Purtroppo il maltempo e un’organizzazione  sottotono non hanno portato che una ventina di persone al traguardo ad applaudire chi arrivava, ma a me, adesso, non importa.  Sento comunque qualcuno che applaude e mi dice “Brava”, poi più nulla, solo io e la mia gioia e le mie lacrime. Aspetto il mio angelo che arriva poco dopo di me, lo abbraccio, lo ringrazio con il cuore in mano, perché so che da sola non avrei mai potuto farcela. E poi eccolo lì, il volontario con in mano la medaglia, quella riservata ai finisher. Me la mette al collo ed io non ci credo, non mi sembra vero, ho corso per 4 ore 34 minuti ed 8 secondi e mi reggo ancora in piedi e sono la persona più felice e più appagata del mondo ed ho già dimenticato tutti gli sforzi e la sofferenza di poco prima. Quella medaglia non ha nessun tipo di valore commerciale, ma per me vale più di un Solitario! Ed è dedicata a tutte le persone che mi hanno affiancata sulle strade in questi due anni, chi per pochi minuti e chi invece corre con me ogni domenica. Al mio compagno, che non vedendomi arrivare nel tempo che pensavamo, aveva paura che non sarei arrivata proprio.. ho dimostrato a lui, a tutti, ma soprattutto a me stessa, che se si vuole qualcosa lo si può ottenere, basta solo crederci e a volte incontrare le persone giuste sul proprio percorso, che ti aiutino a ritrovare la stima in te stesso. Una doccia calda, vestiti puliti e via, si ritorna a Reggio Emilia. Se farò ancora maratone? Ci potete scommettere, mi sono già iscritta ad una bellissima in programma nelle Marche a maggio. Con la consapevolezza che a quella linea di partenza non sarò la stessa della prima volta.

Federica Davoli

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