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INVISIBILE TRA LA FOLLA

Quattro anni fa, circa, l’azienda presso cui lavoravo da tutta una vita chiuse i battenti. Cercai lavoro un poco ovunque ma, con tutte le scuse possibili, mi rifiutarono: non andavo bene perché ero una donna, perché ero avanti con gli anni, perché avevo troppa esperienza. Appena uscita da scuola non andavo bene perché priva di esperienza ora che, con gli anni, avendola acquisita non andavo bene per il motivo opposto.Delusa, sconsolata e sentendomi inutile restando a casa mi offrii come volontaria presso una struttura che accoglie ragazzi con problematiche. Di lì a 10 giorni, fortunatamente, venni assunta presso una società che si occupava dell’amministrazione della struttura stessa. A detta di parenti ed amici ero fortunata ad essere stata assunta così velocemente. Non ho mai sentito nessuno dei miei conoscenti a dirmi che avevo ottenuto questo o quello dalla vita perché me lo meritavo: secondo loro era sempre e solo fortuna. In questo nuovo posto di lavoro mi sono sempre sentita in famiglia. Qui sono inseriti ragazzi con problemi sia fisici che mentali, ma questo non è stato mai un problema, anzi in un posto come questo vi è la possibilità di venire a contatto con problematiche di qualsiasi genere e proprio con persone come loro capisci quanto fortunato sei stato nella vita. Il titolare, i colleghi dell’ufficio e gli altri dipendenti li consideravo come i miei genitori ed i miei fratelli/sorelle. Come in tutte le famiglie ci sono discussioni, divergenze, argomenti sui quali ci si confronta e dopo un battibecco , una riflessione si ritorna alla routine quotidiana come se nulla fosse accaduto. Tutto questo è cambiato da un paio di anni in qua. Inizialmente ero convinta che fosse colpa mia, che mi fossi immaginata tutto, ma tutto diventava sempre più reale e continuo. Una volta l’anno la struttura presso cui svolti attività di volontaria mette in scena uno spettacolo teatrale con i ragazzi. Gli attori (i ragazzi) sono sempre euforici più si avvicina la data della rappresentazione e vogliono a tutti i costi che vi sia più gente possibile a vederli. Io, fin dal primo anno che sono entrata in contatto con loro, mi reco a vederli ma da due anni in qua mi sto pentendo: chi è sul palco non ti nota, giustamente, ma chi è tra il pubblico (compresi miei parenti) con te vicino non ti rivolge la parola. Mi ritrovo così, in un teatro gremito di gente che mi considera un fantasma, forse neppure quello perché lui lo potresti attraversare tu no perché sei di impiccio perché di carne ed ossa. E, sarà un caso, proprio da due anni in qua, se voglio sapere qualcosa che riguardi la struttura e che mi possa servire per la loro contabilità, quando il mio collega è al telefono con i dipendenti della struttura devo origliare e, se li vediamo di persona, mi devo introdurre furtivamente (come fossi un ladro) in ufficio quando il mio collega parla con loro. Un’ultima cosa, che pesa sulla mia salute fisica e mentale, sempre da due anni circa lavora con noi una ragazza figlia di papà, come si suol dire, figlia di un amico del mio principale. Una bambina nel corpo di una ventenne: arriva in ufficio il pomeriggio (perché lavora solo il pomeriggio) già stanca, agli inizi non le piaceva nulla di quello che le si diceva di svolgere (non avendo un titolo di studio particolare non puoi fare altro che lavori di segreteria) e più di una volta ci ha definito (mi auguro in modo scherzoso) “brutta gente” solo perché le si cercava di far capire certe cose utili per il lavoro e la sua vita. Non sono l’unica che questa ragazza suscita questa reazione, ma, purtroppo, abbiamo capito che non ce la toglieremo dai piedi per molto molto tempo. La cosa che più infastidisce è che è, mi auguro per la sua ingenuità infantile, maleducata con certi colleghi: ad una mia collega è stato detto che scriveva male e che avrebbe svolto lei il suo lavoro (non rendendosi conto che questa collega ha dei problemi alle mani). Per diversi mesi questa collega disabile si è assentata dal lavoro e per tutto il tempo che era assente non ci siamo rivolte la parola (ci siamo salutate solo al suo arrivo ed alla mia partenza). Considerate che lei dice che in ufficio parla con tutti: è vero parlerà con tutti ma non allo stesso modo (è più loquace con i ragazzi che con le donne – con loro parla se vuol sapere delle curiosità che non è riuscita a sapere dagli uomini – in particolare con ragazzi senza problemi). Ora, oltre a figlia di papà la possiamo considerare anche una “gatta morta”, non rendendosi conto che rischia di rovinare delle famiglie (molti dipendenti uomini sono sposati) e l’armonia che si era creata in ufficio prima del suo arrivo. Il giorno del suo compleanno questa ragazza ha portato una torta e, dal momento del suo arrivo a quando l’ha offerta a me ed all’altra collega, sono trascorse circa 3 ore e questa è stata la frase con la quale ci ha offerto il dolce: “la torta è stata inaugurata se volete favorire anche voi”. Io mi sono sentita il cane che ho in casa al quale lascio gli avanzi. Chi leggerà questo sfogo penserà che siano solo sciocchezze, sarà anche vero, ma è orribile sentirsi messi da parte, invisibili in mezzo alla folla (anche se composta da sole tre persone). È orribile vedere la gente che vive, che lavora con te, che parla a bassa voce per tenerti allo scuro di tutto o sentire un continuo brusio di fondo, essere lasciati ai margini e, quando ti avvicini per intervenire nei discorsi o perché devi passare vicino a chi parla questi interrompono quello che stavano dicendo. Ho analizzato attentamente il mio atteggiamento sul lavoro e fuori negli ultimi anni ma non ho trovato nulla che possa giustificare questi comportamenti nei miei confronti. Non lo auguro a nessuno di trovarsi in una situazione del genere, neppure al mio peggior nemico. Con gli anni sarò cambiata, sarò maturata, mi infastidisco di cose futili alle quali non dovrei neppure dare peso, ma forse è proprio perché sono maturata (non solo anagraficamente) questi cambiamenti e questi atteggiamenti creano dissapori.

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